CALCIO COI TACCHI:
EMANUELA BIANCO
Di Stefano
Bianchi - Emanuela Bianco, classe 1994, è nata due
volte. La prima, fisica, avviene a Savigliano, cittadina abitata da poco più di
20.000 anime in provincia di Cuneo. La seconda, calcistica, avviene in un paese
ancora più piccolo, Busca, sempre in provincia di Cuneo.
È lì, nel
Busca Calcio 1920, che nasce la passione e la grinta di questa centrocampista
ad oggi considerata una delle migliori nel panorama piemontese. La
consacrazione però avviene nel 2008, quando Emanuela passa alla Musiello
Saluzzo. 8 anni a lottare, a faticare e sudare per una sola ed unica maglia.
Con lei indosso arrivano i primi risultati della fulgida carriera che si
prospetta per Emanuela: il primo confronto con la serie B, il grande salto in A
mancato per un soffio e la convocazione nella rappresentazione piemontese sono
solo una goccia nel mare che sarà.
Poi,
quest’anno, la rottura. Dopo 8 anni Emanuela e la Musiello Saluzzo si separano.
Emanuela è senza squadra ora, pronta ad una nuova avventura, pronta a faticare,
sudare e lottare ancora.
Abbiamo
voluto iniziare così questa rubrica, intervistando Emanuela Bianco.
Cosa significa per una ragazza giocare a calcio?
Significa combattere contro i pregiudizi di un Italia non ancora al passo con i tempi. Magari essere l’unica bambina in una squadra di maschi, il fatto di non vivere lo spogliatoio e a volte sentirsi inferiore solo perché si è femmina. Tutto questo però con il tempo ti dà una forza maggiore, ti permette di non mollare e continuare a lottare per migliorarti sempre.
Significa combattere contro i pregiudizi di un Italia non ancora al passo con i tempi. Magari essere l’unica bambina in una squadra di maschi, il fatto di non vivere lo spogliatoio e a volte sentirsi inferiore solo perché si è femmina. Tutto questo però con il tempo ti dà una forza maggiore, ti permette di non mollare e continuare a lottare per migliorarti sempre.
Credi che il calcio femminile italiano stia crescendo? Cosa manca o cosa è meglio rispetto ad altri
paesi?
Vedo molte più bambine avvicinarsi a questo sport. Quando ho
iniziato io nella squadra del mio paese, il Busca, ero l’unica femmina ora
invece ce ne sono di più. In questi ultimi anni la gente ha imparato a
conoscere anche il calcio femminile però ci sono ancora troppi pregiudizi. Sono
troppe le differenze dalle altre nazioni: seguo sui social calciatrici che
giocano in Francia, Spagna, Germania per non parlare degli Stati Uniti, là è
tutto un altro mondo.
Qual è stata l’esperienza calcistica (allenatore, squadra..)
che maggiormente ti ha
fatto maturare?
Ho giocato 8 anni con la stessa maglia, quella della Musiello
Saluzzo, dopo le stagioni passate in serie C finalmente negli ultimi due anni ho
potuto confrontarmi con il campionato di serie B. Queste ultime due stagioni penso
siano quelle che mi abbiano fatto crescere maggiormente sia dal punto di vista
umano che da quello calcistico. Devo ringraziare in primis le mie compagne con
cui ho condiviso emozioni uniche e poi i mister Roberto Panigari e Patrick
Geninatti Chiolero che hanno saputo stimolarmi permettendomi di dare sempre il
100%.
Non voglio però dimenticare i due titoli vinti nel 2010 e nel
2011 con la rappresentativa piemontese dove ho segnato in entrambe le finali,
ci sono emozioni che non si dimenticano facilmente.
L’ultimo anno alla Musiello Saluzzo è stato pieno di gioie e dolori, come
lo descriveresti? Cosa ti porti dietro da quest’ultima stagione?Penso
sia impossibile descrivere a parole le emozioni provate quest’anno. Dopo un
ottimo inizio abbiamo avuto un periodo di difficoltà però da grande squadra
abbiamo saputo reagire e concludere il campionato alla grande. Abbiamo
eguagliato il terzo posto dell’anno precedente e si sa che ripetersi non è mai
facile. Ho conosciuto persone stupende e so che continueremo a sentirci anche
se non giocheremo più insieme. Ho avuto l’onore di giocare in un vero gruppo
prima che una grande squadra, mi dispiace che sia finito tutto senza un vero e
proprio motivo.
Quale elemento contraddistingue maggiormente il calcio
femminile?
Sembra banale ma l’elemento chiave è la passione. Se una ragazza
ha deciso di giocare a calcio e quindi lottare contro i pregiudizi è sicuro che
non si farà fermare da qualche allenamento un po’ più faticoso. Bisogna
ammettere che il gioco è più lento rispetto a quello maschile ma questo è
fisiologico, la stessa cosa avviene nella pallavolo o nel tennis. Ho avuto il
piacere di vedere allo stadio la finale di Champions League femminile e
sinceramente mi è piaciuta di più rispetto a quella maschile. Le squadre si
sono affrontate a viso aperto, senza tanti tatticismi.
Ci vorrebbe un po’ più di forza di volontà. Trovo che si
facciano tante parole e pochi fatti. Bisognerebbe cercare di dare maggiore
visibilità al campionato di serie A e alla nazionale tramite televisioni e
giornali. Una buona idea sarebbe introdurre le figurine delle ragazze nella
collezione Panini così che i bambini imparino a conoscere i nomi e i volti
delle calciatrici.
Per fare un esempio pratico: stasera ci sarà la finale
dell’europeo under 19 (in diretta su Rai 3) mentre qualche anno fa per la
nazionale under 17 femminile che è arrivata terza al mondiale di categoria non
si è fatto altrettanto, la partita è stata trasmessa da Rai Sport ma non c’è
stata la stessa pubblicizzazione su giornali e social.
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