martedì 28 giugno 2016

Tre domande a... Nicola Monelli

Il calcio dilettantistico è uno sport stravagante, vario e molto imprevedibile. Gli stimoli non sono tanti per questi coraggiosi calciatori, specialmente a livello economico, dalla Terza Categoria fin su alla Serie D, per cui questi si aggrappano a ben altre motivazioni come la grinta e la passione. Non a caso l'ospite odierno ai nostri microfoni ha detto che <<le cose più importanti nel calcio dei dilettanti sono la grinta e la passione di chi ha più voglia di arrivare per primo sul pallone e di chi ha più voglia di vincere, la tecnica in queste categorie non è tutto.>>.
Nicola sa bene di cosa sta parlando, viene lanciato per la prima volta tra i più grandi nel 2014, in un match di Serie D contro la Massese, da mister Melotti. A Formigine fa esperienze molto importanti, partecipa in prima persona alle 2 recenti retrocessioni dirette e impara a giocare a livelli importanti confrontandosi con ottimi avversari. Dell'umiltà e dello spirito di adattamento ne ha fatto la sua forza sacrificandosi spesso per la squadra e imparando a giocare in moltissimi ruoli diversi. Proprio questa sua grande duttilità, unita alle sue indubbie qualità tecniche, gli è valsa la fiducia della società e un posto fisso nella rosa della prima squadra. 
Ci ha raccontato le sue esperienze, i suoi timori e cosa significhi essere un giovane in situazioni molto delicate, facendo trasparire anche un pizzico di emozione e di amarezza per quanto è successo nelle ultime 2 stagioni. Il carattere e la giovane età lo hanno aiutato a mantenere la passione e la speranza per il futuro suo e dei suoi compagni, non escludendo anche la possibilità di poter andare via. Ora però non perdiamoci in improbabili speculazioni di calciomercato, ma lasciamo spazio alle sue dichiarazioni.


Secondo te cosa è fondamentale per un giovane che aspira a giocare in Eccellenza?

"Secondo me sicuramente lo spirito di adattamento, io in 2 anni ho fatto 4 ruoli diversi perché essendo giovane non sempre ti collocano nel ruolo che vorresti. Terzino e esterno sono i ruoli più frequenti anche se dipende sempre da che compagni di squadra hai difronte."

Questa retrocessione cosa ha significato per voi, forse la fine di un vecchio percorso?

"Questa è la seconda consecutiva in appena 2 stagioni. La prima poteva anche starci perché comunque il livello della Serie D si è alzato da quando la Lega Pro è diventata a girone unico e ti ritrovavi a giocare contro squadre con organici molto importanti che possedevano giocatori come Ricchiuti o Bernacci, tutti ex-calciatori professionisti. Formigine dalla sua non è una piazza come Rimini e non è riuscita sempre ad avere una rosa all'altezza. Quest'anno invece eravamo un squadra davvero molto giovane e abbiamo peccato di inesperienza."

La Promozione tra i campionati dilettantistici è quello più aperto ai giovani, ti aspetti di trovare più spazio?

"Personalmente non lo conosco molto, penso sia un campionato sicuramente meno tecnico e più "maschio" dove emergeranno molto di più le individualità. In ogni caso credo di trovare più spazio."

venerdì 24 giugno 2016

A piccoli calci, 2^ puntata

<<Lavorare bene o male a livello tecnico e coordinativo segnerà per sempre il proseguo agonistico di ogni bambino>>, con queste parole Gianluca Ciuffreda, responsabile del settore giovanile presso la United Carpi, ha chiaramente espresso la grande attenzione della sua società verso il <<cuore pulsante di ogni settore giovanile>>, come da lui stesso dichiarato riferendosi alla Scuola Calcio. A parere suo e anche degli allenatori, gli anni della Scuola Calcio sono quelli più importanti perché <<si ha la possibilità di creare la giusta mentalità di squadra e si stimola il senso di appartenenza, elementi importantissimi nel momento in cui i nostri ragazzi raggiungeranno la prima squadra>>.


Come testimoniato da Giuseppe Ricci, secondo allenatore degli Esordienti 2005, gli obiettivi perseguiti sono principalmente l'insegnamento dei fondamentali, per agevolare i bambini nella crescita tecnica all'interno del settore giovanile. Gli esercizi che vengono applicati maggiormente riguardano soprattutto la <<conduzione della palla e il modo di calciare>> con l'obiettivo di crescere giocatori all'altezza di un calcio sempre più tecnico e veloce. Un altro elemento importantissimo nell'organizzazione del lavoro è la divisione in gruppi dei piccoli, che tempestivamente vengono monitorati da vicino durante l'attività sportiva dagli allenatori, i quali sono soliti avere progetti e schede di allenamento condivise in modo da portare avanti un allenamento coerente e sempre in linea con gli obiettivi societari. Grazie a questa divisione del lavoro è stato possibile perseguire un altro grande traguardo cioè l'insegnamento di qualche fondamento di tattica attraverso piccole partitelle a tema. 
L'aspetto educativo non è affatto trascurato, come detto da Ciufferda, << si cerca sempre di costruire un rapporto di fiducia con i ragazzi, che ci permetta di praticare ogni esercizio con la massima attenzione e con il massimo impegno>> in modo da costruire un ambiente tranquillo, nel quale prevalgano l'amicizia e il rispetto verso i compagni, l'avversario e il materiale utilizzato.
Ricci inoltre ha tenuto a precisare come la società sia  stata sempre molto accorta nel dialogo con i genitori al fine di evitare situazioni spiacevoli e poco adatte all'ambiente in cui gli allenatori vanno ad operare.

Gli obiettivi societari dunque sono molto chiari: portare avanti una crescita costante dei giovani e costruire una prima squadra che abbia un' età media al di sotto dei 25 anni con giocatori provenienti dal proprio vivaio. Questa è la filosofia adottata dalla United Carpi, società molto giovane, nata appena 4 anni fa, ma che ha già sviluppato un'ottima organizzazione societaria e una buona offerta formativa per i piccoli atleti che si accingono ad entrare nel mondo del pallone.

martedì 21 giugno 2016

Tre domande a... Simone Pavan

Il suo nome rievoca tempi molto belli per la città di Modena: La Serie A, la "Longobarda" di Gianni De Biasi, momenti molto lontani e dal sapore decisamente diverso rispetto alla Lega Pro e a tutte le vicende legate ad Antonio Caliendo. Dalle prime partite in Serie A con la casacca della Dea arrivando agli anni di Livorno, Simone è sempre stato un ragazzo abituato a calcare i massimi campionati italiani, da sempre all'insegna dell'impegno e di una mentalità vincente, che ha conservato tutt'ora da allenatore.

La sua carriera da tecnico inizia nella stagione 2012/2013 a Portogruaro allenando la categoria Allievi Nazionali, dopo appena un anno fa ritorno in terra emiliana mettendosi alla guida degli Allievi Nazionali canarini. Proprio a Modena lo scorso primo Marzo, insieme a Mauro Melotti, a seguito dell'esonero di Walter Novellino, prende le redini della prima squadra guidandola ad una salvezza insperata. A seguito dell'esito positivo dei Play-out, da cui i gialli di Pavan escono vincitori a discapito dei liguri della Virtus Entella, Simone non viene riconfermato insieme a Melotti alla guida del Modena, ma viene posto a capo della formazione Primavera.
Organizzazione, gestione e responsabilità sono le parole che ha usato per far capire quanto ormai la sua mentalità sia definitivamente passata da quella di giocatore a quella di allenatore. Ai nostri microfoni ha fatto capire quanto sia diverso lavorare con una  squadra Primavera rispetto ad una prima squadra, a partire dall'esperienza dei giocatori, illustrandoci le varie difficoltà del mestiere.

In conclusione ci ha raccontato le sue aspirazioni per il futuro prossimo, non negando una certa voglia di emergere e di poter accedere a panchine del mondo professionistico. <<Il percorso è lungo e faticoso fatto di tanta gavetta e tante batoste... Sto studiando e lavorando tanto per raggiungere l'occasione giusta per diventare un allenatore stimato e vincente!>> ha dichiarato, mettendo subito in chiaro le sue volontà e il suo grande entusiasmo per questo mestiere, riallacciandosi a quella mentalità vincente che lo ha caratterizzato quando ancora era un calciatore. 


Cosa significa allenare per lei?

"Significa dare continuità alla mia grande passione, adesso con più responsabilità, con senso gestionale e con capacità organizzative. Tutte piccole sfide che voglio affrontare e vincere con fame e determinazione per raggiungere i miei obiettivi."

Quali differenze ha trovato nell'allenare squadre giovanili e una prima squadra, militante in Serie B?

"Con i ragazzi devi lavorare per farli diventare grandi, li devi responsabilizzare e cerchi fargli capire il senso di appartenenza, la cultura del lavoro e il rispetto, insomma li avvicini a ragionare da professionisti. I più grandi invece hanno già tutte queste caratteristiche, bisogna solo entrare nella loro testa e stimolarli per far rendere queste caratteristiche al massimo."

Cosa crede che trasmetta ai suoi ragazzi un'esperienza come il Trofeo Sassi?

"La consapevolezza di credere fortemente nei propri mezzi, di sapere che il singolo non è mai più importante dello spirito di squadra e che con il sacrificio, la tenacia, il coraggio e la fame si possono raggiungere obiettivi inimmaginabili."

venerdì 17 giugno 2016

A piccoli calci, 1^ puntata

Jorge Luis Borges una volta disse: <<Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì rinasce la storia del calcio.>>, nulla di più vero. Infatti non basta partire dai giovani per costruire squadre vincenti e per ammirare grandi campioni, bisogna partire dai bambini. Nella vita, come nel calcio, si impara gradualmente: il bambino prima di riuscire a correre deve imparare a stare in piedi e a camminare mantenendo l'equilibrio. Niente capita per caso, soprattutto nel calcio, dove per vincere serve, oltre al vile denaro, programmazione e tanto lavoro negli allenamenti a qualsiasi livello. Ultimamente si sente parlare tanto di problemi legati alla nazionale, di cambio generazionale, ma per arrivare ai grandi successi e ai grandi giocatori bisogna partire dal basso, bisogna ritornare alle radici. Benvenuti nel mondo della Scuola Calcio.

Essere allenatori di una scuola calcio non è cosa da tutti, è necessario avere pazienza, autorità, carisma e decisione nelle piccole questioni da risolvere. L'allenatore deve essere in grado prima di educare poi di insegnare a giocare a football, perché lo sport è anche questo, rispetto.
Detto questo però la parte tecnica non è affatto trascurabile, i bambini devono essere guidati in una graduale crescita sportiva sviluppando dapprima l'aspetto tecnico e solo in un seguito qualche accenno all'aspetto tattico.
Per l'occasione l'ASD Lavena Tresiana ci ha aperto le porte e ci ha fatto conoscere da vicino un allenamento dei Pulcini, guidati dai due allenatori Emanuele Vit e Marco Legnani. I due ci hanno dato la possibilità di assistere ad un allenamento "tipo", nel quale abbiamo potuto osservare il loro operato, dall'arrivo all'impianto sportivo fino alla partitella passando per tutti i vari esercizi a gruppi.


A seguito dell'allenamento durato circa un'ora e mezza, i due mister ci hanno raccontato le loro esperienze e impressioni riguardo al loro lavoro, con riferimenti precisi anche alle piccole competizioni provinciali, alle quali hanno partecipato con i loro ragazzi.
Entrambi sono molto attenti alla parte educativa, credono profondamente nel rispetto verso i compagni e l'avversario e non perdono occasione per cercare di trasmetterlo anche ai loro piccoli calciatori. La dirigenza, come dichiarato da Vit, <<è sempre molto presente e vicina a tutto il settore giovanile>> , l'attenzione della società è concentrata principalmente sulla <<crescita dei nostri giovani e sul loro sviluppo atletico>>, dice Legnani, ricordando come il risultato conti solo in un secondo momento.
Il rapporto con i genitori è un nodo molto importante nella gestione di un settore giovanile e non è sempre stato facile anche se la società è sempre riuscita a mantenere gli animi calmi mettendo subito le cose in chiaro grazie al prezioso operato del DS Nicola Mastromarino, uomo dalla grande esperienza e da un passato nel Lugano FC, è coordinatore degli allenatori e ambasciatore della società nelle relazioni pubbliche con i genitori dei piccoli.

In conclusone Vit ha espresso, a nome di tutto il team, grande gioia e soddisfazione per i risultati raggiunti e per la presenza di una società sempre più in crescita, annunciando un possibile aumento degli iscritti nella prossima stagione, a dimostrazione di come il lavoro suo e di Marco abbia portato i suoi frutti.


martedì 14 giugno 2016

Tre domande a... Matteo Simonetto

<<Come diceva sempre mio padre, "quando si apre una porta, si spalanca un portone", mi auguro che la mia avventura qui a Varese possa continuare per il meglio.>>. Queste le parole del difensore classe '96, Matteo Simonetto, che esprime tutta la sua gioia per essere riuscito ad arrivare a vestire la maglia della prima squadra. Varese per lui significa davvero tanto, <<per me è come una seconda famiglia>>, ha confessato ai nostri microfoni, <<sono qui da 9 anni, mi hanno selezionato quando ero poco più che un ragazzino e ora è diventata la mia casa>>. Come ovvio, il meritato successo di questa stagione per un ragazzo della provincia molto attaccato alla maglia, vale doppio e ha sancito il suo definitivo "battesimo" tra i semi-professionisti, dato che dall'anno prossimo i biancorossi militeranno nel campionato di Serie D.
Matteo ci ha raccontato le sue esperienze personali e le sue impressioni legate al campionato e alla categoria. Con molto umiltà ha dichiarato che <<nonostante le statistiche non lo dimostrino, per noi non è stato affatto facile affrontare l'Eccellenza, abbiamo avuto molte pressioni ed eravamo sempre chiamati a fare il risultato. Inoltre le squadre dilettantistiche non sono da sottovalutare assolutamente, spesso trovano risorse incredibili che vanno al di là delle specifiche doti tecniche e atletiche.>> a dimostrazione di come lui e suoi compagni si siano dovuti meritare fino in fondo la meritatissima promozione.
Non a caso la sua stagione non è stata priva anche di nuove sfide e piccole difficoltà personali, legate alla giovane età che talvolta lo ha portato a sentire parecchio il peso della maglia che indossa. A soli 20 anni, alla prima esperienza in prima, è normale avvertire non solo il salto di qualità dai campionati giovanili, ma anche la grande tensione legata ai risultati che una piazza storica come Varese non solo aspetta ma soprattutto pretende. Nonostante ciò Matteo ha saputo reggere lo scotto e si appresta a cominciare la decima stagione in maglia biancorossa voglioso di fare bene e di mettere in mostra le sue ottime qualità.


Secondo te la rinascita del Varese è partita dai giovani?

"Secondo me sono stati un elemento fondamentale, forse dare tutto il merito a loro sarebbe eccessivo, ma credo siano un ottimo punto da cui ripartire anche nella prossima stagione."

Sei alle tue prime esperienze in prima squadra, come giudichi la tua stagione?

"Credo che sia stata positiva perché quando sono stato chiamato in causa penso di aver sempre fatto bene e di aver dimostrato di meritarmi un posto in squadra. Proprio per questo speravo di poter giocare di più e di trovare più spazio, ma nonostante questo non ho grossi rimpianti, anzi sono motivato ancora di più a migliorarmi a partire dagli allenamenti."  

Le statistiche indicano che avete dominato la categoria, da dove deriva tanta sicurezza in una squadra con molti giovani?

"Secondo me la cosa fondamentale è stato il gruppo, talmente unito da sembrare un famiglia. Tutti ci hanno sempre dati come i favoriti e le aspettative erano sempre molto alte. Nonostante le statistiche non lo dimostrino, per noi non è stato affatto facile affrontare l'Eccellenza, abbiamo avuto molte pressioni ed eravamo sempre chiamati a fare il risultato. Inoltre le squadre dilettantistiche non sono da sottovalutare assolutamente, spesso trovano risorse incredibili che vanno al di là delle specifiche doti tecniche e atletiche."

martedì 7 giugno 2016

Tre domande a... Andrea Rubiolo

Alla domanda "Cosa ti ha colpito così tanto del calcio femminile da entrare in questo mondo a 360 gradi?" la risposta è stata pronta e decisa: << La spontaneità delle ragazze in primis e la passione che ci mettono senza neanche pensare ad un eventuale rimborso. Lavorando nel mondo del calcio come giornalista ho sentito e visto cose pazzesche anche nelle categorie più infime, vedere che c'è anche un rovescio della medaglia pulito mi ha veramente entusiasmato.>>  a testimonianza di come il calcio femminile abbia tanto da insegnare alla compagine maschile. Le motivazioni che dunque hanno spinto Andrea ad intraprendere questo percorso sono più che legittime e sostenute da quella passione verso uno sport che in pochi hanno. 
La sua avventura alla Musiello Saluzzo inizia quando ancora militava nella squadra maschile. Un giorno a causa della assenza di un dirigente << mi hanno chiesto di accompagnare la squadra femminile in trasferta in Val Susa. Ho subito capito che era una disciplina più genuina di quella maschile ed ho deciso di seguire sempre di più la squadra fino diventare Direttore Sportivo>>.  In pochi anni la squadra piemontese, sotto l'attenta guida di Andrea, è arrivata a militare nel campionato nazionale di Serie B, crescendo sotto molti punti di vista e ottenendo risultati ben migliori della squadra di sesso opposto. A dimostrazione di come questo gruppo stia facendo grandi cose, rimangono gli ottimi piazzamenti delle ultime due stagioni, che hanno visto la Musiello Saluzzo entrare nel podio della categoria classificandosi al terzo posto. Come dichiarato dall'ormai ex-DS, il segreto di questa squadra è stato il fatto che << siamo riusciti insieme a non fare gruppetti ma a creare un unico solido gruppo>> formando una formazione sempre più coesa e competitiva, che solo da pochi anni ha preso parte ha campionati nazionali.
Nonostante i grandi successi e un futuro davvero promettente, Rubiolo al termine di questa stagione sportiva ha deciso di lasciare la squadra. Le ragioni chiaramente sono tante, tuttavia ha deciso di spiegarci brevemente le motivazioni principali che hanno portato al suo addio: <<Nove anni sono lunghi ed anche le ragazze avevano bisogno di un'altra persona di riferimento. Ho frequentato un Master a 'Il Sole 24 Ore' in Sport Business Management che mi ha messo in contatto con altre realtà, nelle quali spero di poter crescere ulteriormente come dirigente e professionista. Ringrazio la società per l'opportunità che mi è stata data, le ragazze che mi hanno sopportato e che mi hanno regalato negli ultimi tre anni delle gioie immense ed i miei due mister Roberto Panigari e Patrick Geninatti Chiolero che mi hanno seguito in quest'avventura, fidandosi ciecamente di ciò che dicevo loro. L'ultima trasferta è stata emozionante, molte lacrime ed una serie infinita di abbracci sia con le ragazze che con i genitori: queste sono dimostrazioni d'affetto che ti restano dentro e ti ripagano di tutti gli sforzi fatti>>. 
Questo dimostra come anche il calcio femminile sia una sfida da non sottovalutare, dove si va in contro a grandi ostacoli e a grandi difficoltà, che però si possono superare con la passione e il cuore di tutti. A livello personale Andrea ci ha raccontato quanto sia stato difficile il suo compito, anche in una squadra femminile, dimostrando come sia stato complicato formare il gruppo vincente e all'altezza della categoria, di cui si parlava sopra. 
Adesso non mi resta che dare spazio alle sue dichiarazioni e ad auguragli il meglio per sè e per tutto il calcio femminile.


Cosa significa essere il direttore sportivo di una squadra femminile?

"Significa molte cose. All'inizio devi convivere con la pressione di essere sempre sotto gli occhi attenti delle donne. Occorre pesare ogni singola parola perchè con un uomo al massimo ti scazzotti, con una donna sei fregato perchè ti porterà rancore per tutta la vita. Ho avuto da discutere con molte ragazze che non accettavano i 'paletti' messi da me e dalla società: sono partite tutte e non le ho mai trattenute. L'ambiente dello spogliatoio dev'essere limpido per poter costruire qualcosa di importante e noi, nel nostro piccolo, siamo riusciti a non fare gruppetti ma un unico solido gruppo."

La Musiello Saluzzo può essere un modello per tutto il calcio femminile italiano?

"Un modello non saprei, certamente ci siamo dati da fare e credo che i risultati lo dimostrino. Non posso e non voglio paragonarmi a realtà come Brescia, Verona, Mozzanica e al settore giovanile della Res Roma. Di una cosa, però, sono molto orgoglioso: nella scelta delle giocatrici ho sempre guardato prima il lato umano. Le prime donne per me possono starsene a casa loro, tutti uniti verso l'unico obiettivo, come una famiglia perchè il gruppo fa la differenza."

Rispetto al resto d'europa pensi che il calcio femminile stia crescendo in Italia?

"Lentamente ma credo di si. L'Italia dovrà sicuramente fare qualcosa per questa disciplina anche e soprattutto per volontà della FIFA e dell'UEFA. Dei piccoli movimenti ci sono già stati, ma non bastano. Manca il professionismo per questo sport che ritengo possa aiutare a crescere più del denaro."