domenica 29 novembre 2015

La gioia di tifare

Ieri pomeriggio, come di consueto, mi sono recato allo stadio Alberto Braglia per assistere alla partita casalinga del Modena, che affrontava la Virtus Entella. 
In mezzo ad un clima colmo di tensione e contestazione, ho assistito ad un "siparietto" molto curioso: la prima volta allo stadio di un bambino con il suo papà.
La scena mi ha colpito particolarmente per la gioia nel volto di quel bambino di 8 anni, che molto probabilmente stava vivendo uno dei pomeriggi migliori della sua vita all'insegna del tifo e della condivisione. Il padre reggeva il figlio in braccio con fatica cercando di seguire la partita ed il figlio gioioso era aggrappato al padre nel tentativo di intravedere qualcosa. D'un tratto il bambino chiese al padre di lasciarlo a terra incuriosito dallo stendardo di un tifoso. Si avvicinò al ragazzo con coraggio e allegria, il giovane tifoso guardò il bambino e sorridendo gli diede il tanto desiderato stendardo di colore giallo. Il piccolo lo prese e pronto ad esibirlo con quanto più forza aveva in corpo nonostante le grandi dimensioni del lembo di stoffa. 
Per me questo è il tifo, cioè una forza che sa accomunare grandi e piccini e genti diverse che contemporaneamente condividono tutte la stessa cosa e lo stesso obiettivo. Inoltre secondo me questo è anche uno dei segreti del grande e inimitabile successo del calcio uno sport che non smetterà mai di stupirmi.

sabato 21 novembre 2015

Lo sport dice "NO" al terrore!

A poco più di una settimana di distanza mi sembra doveroso fare una breve riflessione su quanto accaduto lo scorso 13 novembre. I tragici eventi che si sono consumati la scorsa settimana a Parigi hanno messo in ginocchio la Francia e l'occidente, indignando milioni di persone e diffondendo paura e disorientamento.
Io da sportivo e cittadino europeo ritengo che il nostro mondo, quello fondato sulla democrazia, sulla tolleranza e sul lavoro, debba rispondere non con la stessa moneta dei nostri aggressori ma con la diplomazia e la politica. La guerra e l'odio sarebbero l'errore più grande che si possa fare in momento come questo. Lo sport ci insegna tante cose, oltre al divertimento e all'aspetto puramente ludico passano anche valori spesso dimenticati ma dal valore inestimabile. Infatti un cittadino e spettatore attento negli stadi, nelle palestre o nelle arene non nota solo la competizione e lo spettacolo ma è colpito anche dalla fratellanza e dal rispetto. L'agonismo talvolta può portare a scontri e disordini ma ciò che deve sempre trionfare sono i principi democratici che lo sport si impegna a trasmetterci: lo sport è lotta al razzismo, alla disuguaglianza e alla violenza. Proprio da questi punti bisognerebbe partire, sempre con sguardo critico e attento, per fare un' analisi degli accadimenti e per cercare una soluzione che ci tuteli ma non ci avvicini ancor a queste barbarie.


Ora come non mai bisogna abbandonare le divisioni e gli interessi che ci separano per sentirci tutti fratelli e cittadini tutti dalla stessa parte contro un unico nemico. Per combattere questo nemico io non mi piegherò continuerò la mia vita perché è quello che vogliono distruggere insieme a tutti i miei valori e la mia eredità culturale, ma non ricorrerò alla violenza bensì alla solidarietà e alla pace. Se cederemo al terrore, alla paura o all'odio allora avranno vinto loro e i morti di Parigi saranno morti invano.  
Per concludere voglio ricordare anche quanto successo durante l'amichevole Turchia-Grecia che mi ha lasciato ammutolito e senza parole. Inutile sottolineare ancora l'assurdità di quei fischi ingiustificati e meschini. Lo sport  in quell'incontro tra due nazionali ha fallito e per questo voglio ricordare le parole dell'allenatore della nazionale turca, Faith: "Lo sport è uno degli strumenti più importanti che si possono utilizzare per diffondere pace e fratellanza". 

domenica 8 novembre 2015

Tutta un' altra storia: Genoa Cricket and Football Club - parte 1


Le origini e i primi successi:

Il primo documento a noi pervenuto riguardo l’esistenza di un club sportivo genovese è datato 7 settembre 1893 quando un piccolo gruppo di giovani, appartenenti alla comunità inglese di Genova, si ritrovò per fondare il Genoa Cricket and Athletic Club. Solo più tardi nel 1896 fu allestita la prima sezione di foot-ball da un medico inglese arrivato in Italia per curare i marinai inglesi delle navi carboniere. Appassionato di religioni orientali, conosceva il sanscrito ed il greco, viaggiatore instancabile, corrispondente per il Daily Mail, appassionato di pugilato e filantropo, questo è James Richardson Spensley. Il calcio, che fu l’ultimo sport britannico ad arrivare in Italia, era considerato dalla maggioranza dei soci del club, provenienti dalla medio alta borghesia, uno sport per le classi sociali meno agiate ma ben presto il calcio si diffuse rapidamente in Italia e coinvolse subito i giovani, che lo cominciarono a praticare a livello dilettantistico durante il sabato pomeriggio. Spensley riuscì a reclutare giocatori soprattutto tra i marinai delle navi britanniche ormeggiate in porto e tra gli operai impiegati nelle ferriere Bruzzo ma il 10 aprile 1897 l’assemblea gli consentì di accogliere tra le sue fila anche atleti di origine italiana, dapprima con un limite massimo di 50 giocatori poi senza alcun limite. I primi allenamenti si tennero presso il campo del Genoa Cricket and Athletic Club in piazza d’armi del Campasso, in seguito per motivi di spazio la squadra si trasferì presso Ponte Carrega dove il medico inglese riuscì a farsi dare il permesso per allenarsi nello spazio già utilizzato dalla Società Ginnastica Colombo vicino il torrente Bisagno.


 (J. R. Spensley)


Dopo la nascita della Federazione Italiana del Football, tenutasi a Torino in due sedute, il 15 e il 26 marzo 1868, si disputò l’8 maggio  il primo campionato italiano di calcio a Torino presso il velodromo Umberto I in occasione dell’Esposizione Internazionale per i cinquant’anni dello Statuto Albertino. Le squadre partecipanti erano quattro di cui tre provenienti da Torino: l’International Football Club, la Società ginnastica e il Football Club Torinese. Il Genoa, in divisa bianca,  esordì sfidando la Società Ginnastica battendola per 2-1 e qualificandosi per la finale pomeridiana mentre L’International FC vinse per 1-0 contro l’FC Torinese. Dunque la finale per la conquista del primo campionato vide sfidarsi il Genoa e l’International FC. Il Genoa scendeva in campo con questa formazione: Baird, De Galleani, Ghigliotti, Pasteur, Spensley, Ghiglione, Le Pelley, Bertollo, Dapples, Bocciardo, Leaver. Dopo 90’ la partita vedeva le squadre ancora sul risultato di 1-1 e furono necessari i tempi supplementari per decretare un vincitore. Ma il “golden goal” di Leaver pose fine alla partita e dopo tre grida di “Urrah!”, alla moda britannica, il Genoa Cricket and Athletic Club si laureò per la prima volta nella sua storia e nella storia del calcio italiano “campione d’Italia”. La squadra vincitrice fu premiata con una coppa, generosamente donata dal Duca degli Abruzzi, e delle medaglie d’oro per ogni giocatore in stile Rococò. In quell’ anno per il Genoa iniziò un lungo periodo di successi e una rivalità decennale con l’International di Torino che contenderà quasi sempre il titolo ai genoani negli anni seguenti.


 (Formazione Genoa, 8 maggio 1898)

Nella stagione successiva il Genoa fissa definitivamente la sua ragione sociale in Genoa Cricket and Football Club indossando una nuova divisa bianca con strisce verticale azzurre. La stagione inizia bene con un successo contro l’FBC Ligure il 26 marzo  nelle selezioni regionale e finisce meglio con la conquista del secondo titolo sconfiggendo nuovamente l’International FC in finale per 3 reti a 1. Appena due settimane dopo cinque giocatori del Genoa parteciperanno alla prima selezione nazionale che sfiderà la rappresentativa svizzera al velodromo “Umberto I” di Torino perdendo 2-1 questo fu il primo vero esordio della FIF ma di nazionale vera e propria non se ne parlerà fino al 1910.

 (Il velodromo "Umberto I" di Torino)


All’alba del nuovo secolo in Italia cominciano a formarsi sempre più squadre di calcio e il campionato cominciò a farsi sempre più interessante e competitivo. Dalle eliminatorie regionali piemontesi si qualificò l’FC Torinese dopo aver battuto la Società Ginnastica e per la prima volta la Juventus, che fino a qualche anno prima era la semplice squadra del liceo d’Azeglio. Dalla Lombardia risultò vincitrice del girone regionale il Milan che sconfisse la Mediolanum mentre dal girone ligure la spuntò ancora il Genoa imponendosi per 7-0 sulla Sampierdarenese. La finale si svolse a Torino, come di consueto, e si incontrarono il Genoa, detentore del titolo, contro l’FC Torinese, che nelle semifinali riuscì ad imporsi sul Milan, concludendosi 3-1 per i liguri, i quali in questo modo alzarono il trofeo per la terza volta consecutivamente.
Il 1901 fu l’anno del Milan che dopo un indimenticabile cavalcata pose fine all’egemonia genoana diventando per la prima volta nella sua storia campione d’Italia. La squadra milanese riportò una serie di vittorie consecutive incredibili sconfiggendo prima la Mediolanum e poi la Juventus arrivando in finale a Ponte Carrega a giocarsela con i grifoni agguerriti più che mai. Il titolo però dopo tre anni in casa genoana andò a Milano dopo una strabiliante vittoria dei rossoneri proprio in casa del Genoa dove non aveva mai perso! Quella stagione fu un anno di cambiamenti anche per il Genoa che cambiò ancora la propria casacca assumendo una divisa a quadretti amaranto-blu, solo nel 1904 si arrivò a stabilire dei colori sociali definitivi rosso-blu come quelli odierni.

 (Il Milan del primo scudetto, 1901)



La concorrenza cominciò a farsi ancora più forte nel 1902 e il Genoa dovette faticare per portare a casa lo “scudetto” (in realtà di scudetto si comincerà a parlare solo nel 1924). I grifoni cominciarono il campionato con un vittoria nel derby contro l’Andrea Doria, vincendo contro la Mediolanum e arrivando in semifinale contro FC Torinese. Dopo una semifinale combattutissima (4-3 il risultato finale) il Genoa riuscì a qualificarsi per la finale di campionato contro il Milan ma questa volta a Ponte Carrega i genovesi si imposero sui rossoneri aggiudicandosi il titolo per la quarta volta nella loro storia. Il Genoa proprio nel 1902 fu la prima squadra italiana in assoluto ad aprire un vivaio giovanile riservato ai calciatori di età inferiore a 16 anni e di lì a poco a vincere il primo campionato giovanile nella storia del nostro calcio. Solo due anni più tardi questi ragazzini andranno a prendere il posto dei grandi fondatori di Spensley in prima squadra.
Il trofeo rimase a Genova per altre due stagioni (1903-1904) ma nel 1905 fu proprio la Juventus a strappare il titolo al Grifone e ad arrestare il dominio assoluto del Genoa di quegli anni. Altro primato rossoblu si verificò il 27 aprile 1903 quando la squadra genovese sfidò per la prima volta una squadra straniera, il Velo Club Nizza, vincendo fuori casa con un giusto 0-3 e a Ponte Carrega  con una goleada (6-0). Una curiosità piuttosto interessante, riguardo le tifoserie italiane di ieri e di oggi, la prima invasione di campo avvenne il 18 marzo 1906 durante Juventus-Genoa a Torino che costrinse la sospensione del match che fu rigiocato solo qualche settimana più tardi a Milano, per quest’evento eccezionale furono organizzati i primi due treni di tifosi.

 (Juventus campione d'Italia 1905)



A seguito delle vittorie di Juventus (1905) e Milan (1906 e 1907) cominciò un periodo di transizione per il grifone che terminerà qualche anno dopo nel 1911. Proprio nel 1907 infatti il Genoa subì la sua prima eliminazione dal girone eliminatorio regionale per mano della concittadina Andrea Doria che riuscì ad imporsi per ben 3-1. In quel periodo i rossoblu cambiarono anche il proprio stadio poiché il campo di Ponte Carrega era destinato ad uso industriale e alla costruzione di un gasometro. Il dirigente-giocatore Goetzlof, commerciante di carbone valdese, riuscì ad aggiudicarsi un campo nella zona di San Gottardo dove il Genoa avrebbe giocato per i successivi tre anni. L’inaugurazione del nuovo stadio si tenne l’8 dicembre 1907 con una partita amichevole tra Genoa ed equipaggio del vapore inglese Canopic. Poco tempo dopo però si resero conto dell’inadeguatezza di questo campo a causa della lontananza dal centro cittadino e dalla limitata capienza delle tribune, in un periodo dove in pubblico era in costante aumento. Dunque il socio Musso Piantelli fece una proposta: trasferire il nuovo stadio nel quartiere cittadino di Marassi all’interno del galoppatoio adiacente alla sua villa cinquecentesca. Pasteur, presidente del Genoa cfc di quegli anni, valutò attentamente questa proposta e accettò la nuova risistemazione dello stadio. Il nuovo campo venne inaugurato il 22 gennaio 1911 ma solo qualche mese più tardi venne celebrata un’altra inaugurazione poiché la posizione iniziale del campo, che era perpendicolare al torrente Bisagno, fu cambiata e disposta parallelamente al torrente. L’aspetto del nuovo stadio fin da subito richiamava quello degli stadi inglesi con due tribune coperte e una capienza massima di ben 25.000 posti, tutt’ora anche se lo stadio chiaramente ha mutato il suo aspetto trasmette ancora quella magia forse per la strettissima vicinanza delle tribune al campo di gioco, il quale durante le partite più importanti sembra quasi infiammato dalle grida delle tifoserie.

 (Il vecchio stadio di marassi)
 
Nel 1908 la federazione decise di dar ascolto alle lamentele di diverse squadre che accusavano un eccessivo uso degli stranieri nel nostro campionato e chiedevano una modifica del regolamento vietando il tesseramento e l’impiego di calciatori che non fossero italiani. La FIF accolse questa assurda richiesta e diede vita al cosiddetto “campionato autarchico” favorendo squadre come la Pro Vercelli che in questo modo vinse 5 scudetti in 6 anni. Il Grifone, data la sua massiccia presenza di britannici, fu fortemente penalizzato da questa modifica del regolamento e insieme ad altre squadre, tra cui Inter, Torino e solo dopo un paio di giornate anche la Juventus, decise di dissociarsi dal campionato di quell’anno non partecipandovi e lasciando vita facile a squadre come la Pro Vercelli o il Casale.  Nel frattempo il Genoa rafforzò ulteriormente la sua rosa con l’arrivo di tre giocatori elvetici: Hug (jolly), Herzog (mediano) ed Hermann (mezzala) che raggiunsero il connazionale Hurni (centravanti). La rosa infine fu completata con l’arrivo di due giocatori italiani, il centromediano Luigi Ferraris e l’ala Marassi detto “catapulta” provenienti dalle giovanile di Spensley. Finalmente nella stagione successiva (1909) venne abolito il precedente divieto di utilizzo di giocatori stranieri e le squadre più blasonate tornarono a far parte del campionato.

 (La fortissima Pro Vercelli, 1908)


Gli anni ’10 e la “Grande Guerra”:

Nel 1912 iniziano gli anni del Genoa d’oro, iniziò un grande progetto partendo dall’arrivo del nuovo allenatore, William Garbutt. Costui era un’ ex ala di Arsenal e Blackburn Rovers che  lasciò il calcio anticipatamente a causa di un grave infortunio al ginocchio e che ora aveva avviato una promettente carriera da allenatore. Il nuoco commissario tecnico del Genoa saprà creare un gruppo formidabile grazie al suo carisma, alla sua personalità e al suo autoritarismo che gli permetterà di ottenere sempre il giusto rispetto dallo spogliatoio. La società fece ottime mosse anche sul mercato e infatti arrivarono numerosi giocatori britannici a rinforzare la rosa, arrivarono Eastwood, Grant, Wallsingham (ala), Mitchell (ala) e Macpherson (attaccante). 
I primi risultati arrivarono e il nuovo Genoa conquistò la ambitissima coppa Lombardia in cui veniva messa in palio una coppa scolpita in bronzo e argento per un valore complessivo di ben 10.000 lire. La coppa fu offerta dal marchese Piero Negrotto, già presidente del Casteggio FBC, che avrebbe consegnato l’ambito premio solo alla squadra che avesse vinto la competizione per almeno 7 volte anche non consecutivamente. La squadra di Garbutt non perse l’occasione per mettere in mostra il proprio valore e vinse sette volte di fila il torneo aggiudicandosi la preziosissima coppa. Altro grande cambiamento di quegli anni fu l’arrivo alla presidenza di Geo Davidson, imprenditore scozzese e uno dei primi fondatori del Cricket and Athletic Club. 

 (William Garbutt e l'inseparabile pipa)


Il magnate scozzese iniziò fin da subito ad investire grosse somme nel club rossoblu acquistando giocatori di ottimo livello per competere nella corsa scudetto, arrivarono giocatori dal calibro di   De Vecchi, dal Milan, Attilio Fresia per 400 lire, dall’Andrea Doria, Sardi e Santamaria sempre dall’Andrea Doria per 1600 lire a testa. L’esuberante Davidson, abituato al professionismo del football britannico, ingenuamente non si curò delle possibili reazioni della federazione alle sue operazioni di mercato. Non a caso la FIF fraintese il neo-presidente considerando inaccettabile e scandaloso un tale comportamento in un campionato dilettantistico come quello italiano. Il professionismo non si era ancora insediato in Italia e il calcio era visto come una sorta di dopo-lavoro, anche se in realtà molto spesso i giocatori venivano solo registrati come dipendenti delle imprese dei rispettivi presidenti ma di fatto nessuno di loro , salvo rare eccezioni, aveva mai lavorato. Il comportamento di Davidson fu giudicato molto severamente tanto è vero che il Genoa rischiò la radiazione e la sospensione a vita di giocatori e dirigenti. A calmare gli animi intervenne l’ex presidente Pasteur che riuscì a persuadere la federcalcio a non prendere decisioni troppo affrettate e a rivalutare le decisioni prese. Nonostante le ottime premesse il Genoa quell’anno non riuscì a portare a casa lo scudetto in quanto fu battuto dal Casale per 2-1 nella fase finale del campionato.




 (Il milanese De Vecchi)



Dopo la clamorosa vittoria del Casale nella stagione ’13-14, il Genoa sembrava deciso a riprendersi il titolo di campione d’Italia. Il campionato sembrava volgere al meglio per i ragazzi di Garbutt, mancava una sola giornata alla fine e lo scudetto sarebbe stato loro ma la Grande Guerra era alle porte e la federazione decise di sospendere il campionato di football a causa della mobilitazione generale prevista per il 24 maggio 1915. L’Italia scese in guerra a fianco di Francia e Inghilterra. Il conflitto mondiale investì tutto e tutti compreso il mondo sportivo che dovette adattarsi a questa anomala situazione, il Genoa fu duramente colpito durante la guerra a causa di una massiccia presenza di giocatori sia inglesi sia italiani in rosa che caddero durante le azioni di guerra nei vari combattimenti sui campi di battaglia di tutt’Europa. Il primo a cadere fu l’amato Luigi Ferraris, giocatore fuoriuscito dalle giovanili rossoblu, poi a seguire verranno  a mancare il portiere Adolfo Gnecco, l’ala Carlo Marassi, Alberto Sussone e Claudio Casanova. Ma forse la perdita più amara e inaspettata fu la morte di James Spensley, arruolatosi come ufficiale medico, fu ferito mentre soccorreva un soldato oltre le linee nemiche e dopo oltre un mese di agonia morì il 10 novembre 1915. A memoria di questi caduti il Genoa Cricket and Football Club decise di esporre una lapide commemorativa presso la tribuna in ricordo dei 25 soci del club caduti durante la prima guerra mondiale. Il nuovo stadio di Marassi fu dedicato proprio al già citato Luigi Ferraris e tutt’ora porta il suo nome. Ci fu però anche motivo di orgoglio per il Genoa durante la guerra poiché Giuseppe Castruccio, vincitore con la maglia rossoblu del campionato riserve del 1904, fu insignito con la medaglia d’oro al valore per aver salvato da solo nella notte del 22 novembre 1917 un dirigibile italiano gravemente danneggiato dalla contraerea austriaca. 





(Luigi Ferraris prima della "Grande Guerra")



Gli anni ’20:

Finito il conflitto le attività sportive ripartirono solo nel 1919 e in quell’anno la federazione decise di assegnare il titolo di campione d’Italia per la stagione 1914-1915 al Genoa, che tanto aveva arrischiato economicamente per aggiudicarsi quello scudetto. Il primo campionato dopo il conflitto mondiale si rivelò un buona annata per il grifone che si vide battuto solo nella fase finale dei gironi settentrionali dalla Juventus, che vinse solo grazie a due errori dell’arbitro Varisco che assegnò ai Bianconeri prima un rigore inesistente, poi un gol in palese fuorigioco. Alla luce di siffatte irregolarità lasciarono anzitempo il campo De Vecchi, Della casa mentre Traverso abbandonò volontariamente il rettangolo di gioco. Il Genoa dovette terminare la partita in otto giocatori e subire un pesante sconfitta. Successivamente con tre squalificati i Grifoni riuscirono a strappare solo un 1-1 a Modena contro l’Internazionale e di conseguenza andarono incontro ad un inevitabile eliminazione, dato che aveva già battuto la Juve per 1-0. Quell’anno il titolo passò nelle mani dei neroazzurri che in finale a Bologna sconfissero il Livorno. Il 1920 fu un anno cruciale e di cambiamenti ai vertici del club infatti Davidson cedette il posto al genovese Guido Sanguineti, senza però lasciare definitivamente il club ma ricopre prendo la carica di vicepresidente fino al ’23 e rimanendo nel consiglio sino al 1927. Inoltre la squadra fu stravolta non solo dal passaggio di testimone alla presidenza ma anche dalla partenza del vero regista del Genoa di allora, il fortissimo Santamaria che passò alla Novese. A seguito di tutte queste vicissitudini la stagione 1920-1921 si rivelò assai negativa per i grifoni che a stento superarono la fase eliminatoria ligure e qualificandosi poi alle semifinali, senza però andare oltre. Di conseguenza la dirigenza decise di intervenire pesantemente sul mercato per risollevare le sorti dell’allora club più titolato d’Italia e infatti fu preso De Prà, Moruzzi e Morchio dalla Spes, Luigi Burlando (nazionale italiano di football e pallanuoto) dalla Andrea Doria ed infine dalla Serinitas arrivò Edoardo Catto, il più grande marcatore della storia del Genoa Cricket and Football Club.

 (Luigi Burlando)

Dunque il Grifone nel 1921-22 si presentava come una delle squadre candidate al titolo, ma intanto in quei mesi la federazione si era nuovamente scissa in due parti: la CCI (Confederazione Calcistica Italiana), a cui aderirono varie squadre molto forti come lo stesso Genoa, e la FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio). Una delle divergenze maggiori tra le due parti fu la conservazione o l’abolizione dei gironi regionali che furono mantenuti solo dalla FIGC mentre la CCI introdusse 4 gironi, 2 al nord e 2 al sud. Dopo un avvio di campionato ottimo il Genoa di Garbutt si ritrovò in semifinale la rivale Pro Vercelli. Dopo lo 0-0 dell’andata i rossoblu si fecero ingenuamente battere a marassi dai piemontesi che in questo modo poterono raggiungere la finale e conquistare il settimo ed ultimo titolo nazionale.  Sempre in quell’annata il Genoa raggiungerà altri primati assoluti come la clamorosa trasferta a Savona, risalente al 26 marzo, dove la formazione rossoblu fu seguita da circa 500 tifosi che noleggiando una vecchia nave, di nome Bon Voyage, arrivarono a destinazione dopo più di 4 ore di traversata causa il maltempo. Nel giugno del ’22 a marassi il grifone ebbe l’onore di ospitare il Liverpool, compagine blasonata del football britannico, che si batté contro i grifoni in un’ amichevole terminata 4-1 per i “Reds”, a seguito della quale gli inglesi dichiararono che il Genoa fosse l’unica squadra, fra quelle incontrate durante la tournèe italiana, degna di partecipare al campionato britannico, va infatti ricordato che le squadre inglesi solitamente snobbavano le squadre degli altri paesi e solo eccezionalmente si concedevano tournèe sul continente. Proprio in quella grande manifestazione il portiere De Prà ebbe il piacere di conoscere Scott, famoso “goalkeeper” britannico e considerato uno dei migliori portieri dell’epoca. Da questo incontro emerse un simpatico siparietto: Scott descrisse all’italiano De Prà un metodo di allenamento che lui stesso utilizzava per esercitarsi nei colpi di reni, non a caso l’esercizio consisteva nel parare i tiri dei compagni solo con i piedi mentre si era appesi alla traversa.

 (Giovanni De Prà)

Appena un anno più tardi le due federazioni si riunificarono dando vita nuovamente ad un torneo unico. La stagione ’22-23 si rivelò per il Genoa non solo un anno di successi ma anche di grandi record: i ragazzi di Garbutt vinsero il campionato con 28 risultati utili consecutivi e 0 sconfitte conquistando l’ottavo scudetto della loro storia. La finale di ritorno si disputò a Roma contro la Lazio e in quell’occasione la squadra venne ricevuta dal Papa e dal Capo del Governo Benito Mussolini, che esaltò i genoani con parole vigorose: “Siete i più forti, insegnate a questi romani come si gioca! Domani dovete vincere!” . A seguito di questo grande risultato  i rossoblu furono richiesti dalla maggioranza degli appassionati di football sud-americani che erano molto curiosi di guardare da vicino una delle squadre più forte dell’epoca, la dirigenza dunque decise di organizzare una tournèe in America Latina portando la squadra in Argentina e Uruguay.
La stagione 1923-24 fu un anno speciale per il Genoa poiché il 31esimo anniversario della fondazione del “Vecchio Cricket” coincise con la vittoria del nono ed ultimo scudetto il 7 settembre 1924. Sempre in quella magica annata Vittorio Pozzo, il commissario tecnico più vincente di sempre, convocò ben 6 giocatori genoani in nazionale. Da ricordare la grande prestazione di De Prà che contro le “Furie Rosse” spagnole a Milano riuscì a mantenere la sua porta inviolata. Alla fine del match accadde un bel episodio di sportività e amicizia tra il grande portiere Zamora che abbracciò il portiere azzurro che a sua volta regalò al portiere iberico una medaglia d’oro di riconoscimento da parte di tutti gli sportivi italiani.  I giocatori genoani degli anni ’20 scrissero non solo la storia del Genoa ma anche i primi anni della nostra nazionale totalizzando circa 110 presenze in maglia azzurra.  


 (Il Genoa dell'ultimo scudetto)

Grande novità della stagione successiva fu l’introduzione dello “scudetto tricolore”  che da allora contraddistinse la squadra vincitrice del campionato precedente. La stagione 1924-25 cominciò bene e trascorse piuttosto velocemente per i rossoblu che si ritrovarono ben presto in finale ancora contro il Bologna. La finale di campionato fu giocata prima a Bologna dove il Grifone si impose per ben 2-0 ma nel ritorno i bolognesi non demorsero e strapparono un’importantissima vittoria, complice la superficialità del gioco genoano. Dunque si decise di organizzare un terzo incontro, questa volta sul campo neutro del Milan. La finale si disputò il 7 giugno 1925 in un clima infuocato: per la partitissima erano arrivati tantissimi tifosi sia da Genova sia da Bologna, oltre ad un buon numero di milanesi che accorsero per vedere il “big match”. Data la ridotta capienza dello stadio i tifosi del Bologna furono fatti accomodare tutt’intorno al rettangolo di gioco ma l’arbitro Mauro fischiò ugualmente l’inizio della gara, temendo però un coinvolgimento troppo diretto da parte dei tifosi eccessivamente vicini al terreno di gioco. I timori del direttore di gara erano fondati, infatti al 16’ minuto del secondo tempo De Prà parò un tiro fortissimo di Muzzioli deviando il pallone in calcio d’angolo ma i tifosi bolognesi non d’accordo con la decisone arbitrale scesero in campo a fianco dei propri giocatori per reclamare la “rete”, convinti che il pallone avesse supero la “riga”  di porta prima di essere deviata in corner. L’arbitro resistette per circa 13 minuti ma poi, visto che non riusciva a ristabilire l’ordine e non arrivava nessun agente, decise di assegnare la rete al Bologna che accorciò le distanze, ora il risultato era sul 2-1. Pochi minuti dopo in un atmosfera incandescente i rossoblu del Bologna pareggiarono grazie ad una vistosa trattenuta di Pozzi su De Prà che non riuscì ad opporsi al tiro di Schiavio. Dopo 90 minuti la partita si era conclusa sul risultato di 2-2 ma i supplementari non si giocarono, l’arbitro Mauro considerava chiusa la partita sul 2-0 al momento dell’invasione di campo. Evidentemente però le sue volontà non furono sufficienti perché Leandro Arpinati, presidente della Federcalcio e podestà fascista di Bologna, di indubbia fede bolognese minacciò il direttore di gara e lo costrinse a falsificare il referto della partita ammettendo la “presenza di alcuni estranei sul terreno di gioco”  e non un’invasione di campo da parte di tifosi bolognesi. In questo modo Arpinati riuscì a far rigiocare la partita che infatti fu rigiocata il 5 luglio a Torino, ma anche stavolta le due compagini non riuscirono a superarsi e la partita finì 1-1. A seguito di quest’altro pareggio la Federazione decise di far disputare un’ ultima partita, nella speranza di ottenere un vincitore, di nuovo a Torino. Dopo varie discussioni si decise di giocare la finale in autunno, di conseguenza la dirigenza del Genoa diede “via libera” a propri giocatori che andarono finalmente in vacanza. Improvvisamente il Genoa ricevette un chiaro ordine da Roma: la finale si sarebbe disputata il 18 agosto a porte chiuse allo stadio Vigentino nella periferia milanese. Se il Genoa si fosse nuovamente rifiutato di giocare la pena sarebbe stata la radiazione e quindi la dirigenza fu costretta a richiamare i suoi giocatori già da tempo in ferie. Il Bologna che invece era stato avvertito per tempo aveva continuato gli allenamenti e arrivò decisamente più preparato alla partita. Dopo 90 minuti a rincorrere una rete di Pozzi segnata al 27’ del primo tempo, complice la sfortuna, i ragazzi di Garbutt furono beffati a 5 minuti dalla fine e la partita termino sul risultato di 2-0, il Bologna FC divenne campione d’Italia per la prima volta.

 (Il Bologna campione d'Italia '24-25)


Dopo lo scandaloso “scippo” dello scudetto da parte del Bologna, il Genoa si ridimensionò notevolmente. Andarono via giocatori molto importanti che avevano terminato la loro gloriosa carriera come De Vecchi e Santamaria, ma arrivò uno dei giocatori più forti nella storia del “Vecchio Cricket”, si tratta di Felice Levratto. Vincitore della prima edizione della Coppa Italia con la squadra del Vado, quest’ala aveva caratteristiche davvero incredibili: grande forza fisica, scatto fulmineo e un tiro implacabile. In effetti Levratto era proprio famoso in quegli anni per la sua potenza di tiro micidiale che addirittura in certe occasioni aveva tramortito qualche portiere avversario.  Ci furono importanti cambiamenti anche nella dirigenza del club, il presidente Guido Sanguineti aveva dato le dimissione per seguire le sue industrie in Sudamerica.


 (Felice Levratto in maglia azzurra)





“Calcio in camicia nera”: 

Nel 1926 il calcio italiano cominciò finalmente ad uscire dall’immobilismo del mondo dilettantistico per proiettarsi nel professionismo grazie all’introduzione dei contratti ufficiali tra le società e i calciatori, solo De Prà rinunciò a firmare un contratto ufficiale  in quanto voleva rimanere dilettante fino alla fine. Inoltre il ’26 fu un anno cruciale poiché il fasciamo si intromise a tutti gli effetti nel mondo del calcio e dello sport. Il regime di Mussolini capì fin da subito che lo sport e le sue modalità di aggregazione erano una preziosissima opportunità per diffondere il credo della nascente rivoluzione fascista e dal ’38 degli ideali della razza, in un discorso del 1938 Leandro Arpinati sentenziò: “non c'era niente di più utile dello sport per migliorare la razza a livello fisico, in quanto fornisce disciplina, modella i muscoli e plasma il carattere”.
Il football o meglio giuoco del calcio (come prediligeva il regime) fu immediatamente inquadrato come lo sport più prorompente degli altri in grado di essere seguito e praticato da tutte le classi sociali. Per questi motivi il regime cominciò ad investire tempo e denaro finanziando strutture polisportive come lo stadio del Bologna Calcio, il Littoriale. Come riportato dal sito del Bologna FC 1909 era un impianto polisportivo, secondo l’indirizzo fascista, in cui il campo da calcio era circondato da una pista podistica a sei corsie e lo stadio stesso era attorniato da due piscine e quattro campi da tennis, configurandosi così come una vera e propria cittadella sportiva. Inoltre, costruito alla periferia della città, presentava uno stile architettonico lontano dall’eccessiva monumentalità dell’architettura fascista, seppure ispirato alla Roma imperiale. . Come si può intuire tra fascismo e Bologna Calcio ci fu sempre uno stretto legame e collaborazione grazie al sopracitato Leandro Arpinati gerarca fascista ed esponente politico del GUF del capoluogo emiliano. In effetti il Bologna durante il Ventennio vinse ben 5 titoli nazionali, ricorrendo a volte a favoritismi arbitrali e politici, come visto nella conquista dello scudetto 1924-1925. Il calcio era al centro delle attenzioni del partito e infatti da Roma fu inviato un dictat ad Arpinati che fu prontamente incaricato di riformare il campionato italiano: nel 1926-27 la FIGC decise di abolire le due Leghe Nord e Sud a favore di due grandi gironi nazionali e di un girone finale a 6 squadre.  Inoltre nel ’28-29 aumentarono ulteriormente le partecipanti al campionato , 16 per ogni girone le cui vincitrici si sarebbero affrontate in due successive finali.  Successivamente nel 1930 nascerà ufficialmente la Serie A ossia il primo campionato a girone unico, tutto questo processo di eliminazione di gironi regionali e annullamento di qualsiasi forma di campanilismo era votato a favore di un idea sempre più unitaria della nazione seguendo l’ideologia nazionalista, che intravedeva nelle rivalità cittadine solo un impedimento al raggiungimento di una coscienza nazionale forte e consapevole. Da questa idea derivò anche l’approccio militarista che il fascismo impose alle competizioni sportive e alla stessa nazionale di calcio che doveva sentire il peso e l’onore della nazione su di sé nell’ambito delle competizioni internazionali, terreno di “guerra” contro le altre nazioni dove, secondo il regime, bisognava dimostrare la propria superiorità atletica. Conseguentemente Mussolini stesso propose sempre più retoricamente il “culto della VITTORIA”, la vittoria militare e sportiva doveva dimostrare e testimoniare alle altre nazioni del mondo la potenza del fascismo e la grandezza dell’Italia. 

 (La nazionale mostra il "saluto romano")

In questo scenario il regime attuò anche un processo di “italianizzazione” della società che doveva guardare con diffidenza e sospetto a tutto ciò che non era di origine italiana, in primo luogo a livello linguistico. Infatti  al Genoa e a tutte le squadre italiane fu ordinato di cambiare il proprio logo e di inserirvi il fascio littorio e come se non bastasse tutti i nomi delle squadre che rimandavano ad abbreviazioni e nomi inglesi dovevano tutte essere sostituite dalle corrispondenti parole in lingua italiana ad esempio:  il Genoa Cricket and Football Club diventò Genova 1893 Circolo del Calcio, l’Internazionale si trasformò in Ambrosiana Inter e il Milan in Milano. Conseguentemente a questi fatti anche William Garbutt, storico “mister” del Genoa, a causa delle sue origini britanniche fu pressato da molti dirigenti del club affinchè rassegnasse le sue dimissioni. Il Fascismo ormai aveva reso completamente autarchico e fascista anche il calcio e lo sport. Infine nel 1929 il fascismo cittadino si intromise anche nella gestione del Genoa, precisamente il 19 febbraio 1929 Giorgio Molfino, segretario del GUF, venne ammesso nel consiglio societario.  
I Gruppi Universitari Fascisti nacquero nel 1920 ed erano una delle tante organizzazioni giovanili volute dal Duce per educare i giovani italiani alla cura del corpo, non a caso per Mussolini “non basta avere il cervello calcolatore e la mente che ragiona: occorrono anche muscoli saldi e garretti di acciaio”.  A questa organizzazione potevano accedere i ragazzi compresi fra i 18 e i 25 anni di età i quali dal 1932 potevano partecipare ai Littorali dello sport, che erano divisi in varie fasi: prima questi ragazzi doveva sottoporsi ad una selezione provinciale dalla quale sarebbero emersi coloro che sarebbero passati ai Littorali nazionali. I giovani atleti prima di intraprendere questa competizione dovevano sottoporsi ad un giuramento: “Combatterò per superare tutte le prove per conquistare tutti i primati con il vigore sui campi agonali […], combatterò per vincere nel nome d'Italia. Così combatterò come il Duce comanda. Lo giuro!” . I vincitori di questa manifestazione sportiva venivano premiati con il titolo di “Littorale d’Italia” e un distintivo in oro raffigurante la “M” di Mussolini. 
 (Tessera del GUF di un giovane atleta)


I mondiali del 1934, ospitati proprio in Italia nei quali prevalse proprio la formazione azzurra guidata Vittorio Pozzo, furono l’occasione per sfoggiare la bellezza, la perfezione e l’atleticità dell’Italia fascista. Il regime  per l’occasione predispose la costruzione di stadi imponenti dalla grandissima portata in onore al partito e alla stessa figura di Benito Mussolini, molti stadi, poi riutilizzati nel dopoguerra e sopravvissuti anche oggi, portavano i seguenti nomi: a Bologna si poteva vedere lo “stadio Littoriale”, a Roma lo “stadio nazionale del PNF”, a Trieste lo “stadio Littorio” mentre a Torino lo “stadio Benito Mussolini.  Queste strutture per la loro imponenza dovevano impressionare i tifosi e gli atleti delle squadre avversarie partecipanti all'allora “Coppa Rimet”.

 (Immagine propagandistica del mondiale '34)


Il Genoa in Europa:

Nel ’29 il grifone partecipò per la prima volta ad una competizione europea, la “Coppa Europa” antenata della coppa UEFA e dell’odierna Europa League. Per qualificarsi al torneo i rossoblu dovettero affrontare i rossoneri del Milan in due spareggi terminati rispettivamente 2-2 a Milano e 1-1 a Genova. A seguito di questi due pareggi ci si affidò al sorteggio che sorrise ai genoani, ma una brutta notizia colpì i genovesi durante gli spareggi di qualificazione: si infortunò gravemente Catto, pedina fondamentale per il Genoa di allora, la sua assenza sarà determinante durante il cammino europeo. Iniziata la manifestazione l’Italia vantava ben due compagini, la Juventus e il Genoa. Il cammino rossoblu si fermerà molto presto, al primo turno, a causa dell’eliminazione da parte del Rapid Vienna. La squadra austriaca in quell’anno si era laureata campione d’Austria per la nona volta ed esprimeva il miglior calcio danubiano, che all’epoca era visto come il migliore d’Europa. Alla fine il Rapid lo vincerà il trofeo e rifilerà un risultato umiliante alla formazione italiana nel ritorno di Vienna, 6-1 il risultato finale.
 (La Coppa Mitropa o Coppa Europa)




Il tramonto del grande Genoa:

Nella stagione successiva la federazione, come detto in precedenza, istituì la Serie A cioè un campionato a girone unico nel quale il Genoa riuscirà a piazzarsi secondo dietro all’Ambrosiana-Inter. La compagine genovese non riuscirà mai ad acciuffare i neroazzurri, non a caso  nello scontro diretto a Milano la partita si concluderà 3-3 tra occasioni sprecate e il crollo di una tribuna che coinvolse più di 150 persone tra cui 2 genovesi. Con il chiudersi della stagione 1929-30 il Genoa cessò di ricoprire la posizione centrale e blasonata che sin qui aveva gloriosamente occupato, fu l’ultimo anno in cui si ritrovò in “corsa-scudetto” fino all’ultima giornata. Durante la stagione nel frattempo se ne era andato De Vecchi e sulla panchina rossoblu subentrò un uomo eccentrico quanto il suo nome, un certo Geyza Czecagny. Di origine magiara, grande motivatore dagli atteggiamenti insoliti: dirigeva la squadra dalla tribuna ed era solito unire lo spogliatoi intonando cori ungheresi che dovevano essere eseguiti da tutti i giocatori della squadra. Venne assunto ufficialmente solo nel luglio del 1930 mentre Luigi burlando divenne il nuovo responsabile del settore giovanile. Iniziò ad aleggiare lo spettro di una bruttissima crisi in casa Genoa che di lì a poco diventerà realtà. Il 1932 è a tutti gli effetti l’inizio del calvario che in poco più di due stagioni porteranno il club più blasonato d’Italia in Serie B.  La stagione ’31-32 il Genoa finì la stagione all’undicesimo posto e quella successiva si piazzò ottavo in coabitazione con la Triestina. Infine lo spettro della retrocessione si concretizzò solo un anno più tardi; nonostante le belle vittorie contro Ambrosiana, Juve e Bologna molte di più furono le sconfitte che condannarono il Grifone alle posizioni più basse della classifica. Il colpo di grazia fu dato dalle dimissioni del presidente Ardissone, che qualche tempo prima aveva sostituito Sanguineti, e l’arrivo di Alessandro Tarabini (nominato commissario straordinario da Giorgio Molfino) che gestiva la squadra come un manipolo di soldati minacciando i giocatori con multe o addirittura con il confino se non avessero assolto il loro dovere in modo ligio e corretto. Inoltre fu venduto anche Levratto all'ambrosiana-Inter e la retrocessione fu inevitabile: il Genoa si piazzò al penultimo posto e irreparabilmente per la prima volta nella sua storia venne retrocesso in Serie B.