martedì 26 aprile 2016

Tre domande a... Lauro Fontanesi

Gli allenatori vecchio stampo dicevano sempre: "Palla lunga e pedalare!" e per una volta ci troviamo davanti un ragazzo che incarna alla perfezione le esigenze di questi vecchi mister. Mancino naturale, giocatore dall'indubbia rapidità sull'esterno di sinistra, ma altrettanto pericoloso sull'out di destra, Lauro Fontanesi comincia, ad appena 6 anni, la sua "carriera" calcistica all'allora AC Montale, dal 2010 meglio nota come Real Modena. A parte una piccola parentesi nella Gino Pini per la categoria "Giovanissimi Regionali", Lauro svolge tutta la lunga trafila delle giovanili al Real Modena, esordendo in prima squadra nella stagione 2012/2013, in cui arriva subito la promozione dalla Seconda Categoria alla Prima. L'anno successivo è altrettanto positivo per lui, che assieme ai suoi compagni riusce a replicare il successo dell'anno precedente e nell'autunno del 2014 si ritrova ben presto a militare nel campionato di Promozione.
A dicembre di quello stesso anno, passa al Castelvetro, compagine della provincia allora militante in Eccellenza e recentemente neopromossa in Serie D. A giugno, dopo un' avventura non felicissima, fa ritorno a Montale, che a causa di problemi societari era stato retrocesso direttamente dalla Promozione in Seconda Categoria. Per questo motivo, in questa stagione ha scelto di vestire la maglia del Castelnuovo, squadra molto giovane partecipante al campionato di Promozione.
Proprio su questa categoria ha detto: "Secondo me la Promozione è il campionato più adatto per far crescere noi giovani e per coltivare un gruppo unito e coeso", ribadendo nuovamente la sua grande voglia di mettersi in mostra per raggiungere, un domani, categorie superiori.





Personalmente come hai trovato la categoria?

"Questo è il secondo anno in cui gioco in Promozione, ma è la prima volta che ho notato il giusto mix tra giovani e giocatori più esperti, in un campionato dove sono obbligatori 3 giovani in campo. Credo che sia il primo campionato dove si possa vedere una gestione del gioco e delle partite molto diversa dalle categorie precedenti, soprattutto per la vicinanza e per l'interesse della società. E' un campionato molto equilibrato e per noi è l'ambiente ideale per farci notare dalle società di categorie superiori."

Quindi credi che la Promozione sia il campionato giusto per crescere calcisticamente?

"Sì, la Promozione se fatta bene ti può dare tanto, molto di più della Prima, della Seconda o della Terza Categoria. Secondo me è il campionato più adatto per far crescere noi giovani e per coltivare un gruppo unito e coeso."

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?

"L'anno scorso ho giocato in Eccellenza per 6 mesi e per me è il primo campionato dove si inizia a sentire la pressione della società e il peso dei risultati, ci vuole molto impegno sia dentro che fuori dal campo. Sinceramente, io mi trovo molto bene in Promozione e non ho fretta di salire di categoria, perché ho trovato il giusto equilibrio tra studi, lavoro e vita sportiva. Se dovesse arrivare un'offerta interessante sicuramente ci penserei molto bene prima di prendere qualsiasi tipo di decisione."

martedì 19 aprile 2016

Tre domande a... Paolo Mandelli

Nasce a Milano il 4 dicembre 1967, cresce nelle giovanili dell'Internazionale e proprio con i Nerazzurri esordisce anche in Serie A, nella stagione '86/'87. Successivamente la sua carriera da attaccante prosegue in altre piazze importanti come Lazio, Foggia, Modena e infine Sassuolo.
Da giocatore ha sempre militato tra i professionisti, trascorrendo molte stagioni nella massima serie, dimostrando la sua grande professionalità e passione verso questo sport, che non ha abbandonato nemmeno dopo il ritiro dal calcio giocato, avvenuto nel 2003.
Sassuolo è il luogo dove è finita la sua carriera da giocatore, ma anche la città da dove è cominciata quella da allenatore. Questo nuovo capitolo si apre fin da subito con la grande possibilità e impegno di allenare la Primavera neroverde, dove ha avuto il piacere di incontrare sul suo cammino anche giovani promesse del nostro calcio, attualmente militanti in Serie A e B. Non a caso Paolo è stato allenatore di Leonardo Fontanesi, ora in forza al Cesena in Serie B, Marcello Sereni, attaccante del nuovo Parma neopromosso in Lega Pro, di Chibsah (Frosinone) e ovviamente di suo figlio, Andrea Mandelli, giovane difensore promettente, in prestito fino a fine stagione alla primavera cesenate.
In questi anni ha avuto anche una piccola parentesi in prima squadra, andando a sostituire Gregucci nella stagione 2010/2011 portando la compagine neroverde alla salvezza nel campionato di Serie B. Per il momento rimane l'allenatore della Primavera, ma date le sue ottime qualità, non sarebbe impossibile rivederlo tra qualche anno calcare panchine a livello professionistico.


Paolo Mandelli, perché ha scelto proprio Sassuolo per iniziare ad allenare? 

"Intanto non è stata proprio una scelta, ma una possibilità, visto che gli ultimi due anni da professionista li ho giocati a Sassuolo. Qui mi è stata offerta la possibilità di poter cominciare ad allenare subito e io ho colto con entusiasmo questa proposta."

Cosa ritiene sia essenziale per allenare dei giovani e cosa pretende da loro?

"Ci vuole molta pazienza, l'allenatore non è un ruolo dove puoi metterti in luce, devi stare sempre dietro le quinte, perché davanti ci devono essere sempre i ragazzi con la loro crescita e il loro approccio agli allenamenti. Quello che richiedo da loro è di mettere tanta passione per costruire giorno dopo giorno il loro futuro."

 Che significato ha avuto il torneo di Viareggio per lei e i suoi ragazzi?

"Il torneo di Viareggio è un' esperienza a livello internazionale, dove ti misuri sia con squadre italiane molto competitive sia con squadre straniere. C'è la possibilità di trovare più visibilità, grazie all'attenzione della stampa e al grande interesse nazionale, perciò per i ragazzi è sempre un'esperienza molto importante da fare." 


venerdì 15 aprile 2016

Il sogno diventa realtà

Di Mattia Bannò - <<Io mi sento albanese. Così come mi ero subito sentito uno del Toro. Mi piace entrare nella realtà in cui lavoro. La gente se ne accorge e si crea un gran bel feeling. Che aiuta a vincere>>. Parole e musica per le orecchie dei tifosi della Terra delle Aquile quelle rilasciate da De Biasi  a "La Stampa", che descrivono appieno la genesi di un sogno che, nella nostra storia, sta per diventare realtà.
In un Paese legato indissolubilmente all'Italia per ragioni storiche e sociali, in cui l'italiano è molto più di una seconda lingua e in cui tutti seguono il nostro massimo campionato, ci ha messo poco il ct trevigiano ad entrare nel cuore della gente, soprattutto grazie alla sua umiltà e capacità di adattamento, due elementi imprescindibili per vincere. Lo sa bene De Biasi, uno non nuovo a grandi imprese a livello di club, ma questa volta è diverso, c'è una Nazione intera che attende da troppo tempo di poter gioire per un traguardo storico. A certificare il legame tra il popolo albanese e l'ex tecnico del Modena, il 28 marzo 2015, un giorno prima della fondamentale gara casalinga con l'Armenia, De Biasi, ribattezzato GIANI dai tifosi, riceve, dalle mani del Presidente della Repubblica, Bujar Nishani, il decreto Presidenziale per la cittadinanza albanese, un riconoscimento che riempie di orgoglio un allenatore, capace di dare alla sua squadra, dopo l'organizzazione dentro e fuori dal campo, anche la mentalità di potersela giocare contro ogni avversario e di poter ribaltare la contesa in una situazione di svantaggio. Proprio come accade nella sfida contro Mkhitaryan e compagni, avanti 1-0 fino a tredici minuti dal termine, quando Mavraj, facendosi perdonare l'autogol iniziale, sigla il pareggio di testa, venendo imitato, quattro giri di orologio dopo, da Gashi. La rimonta è completata, sugli spalti dell'Elbasan Arena si scatena il delirio per un risultato che, dopo quattro partite su otto, proietta l'Albania, unica formazione del girone imbattuta sul campo, al secondo posto, con sette punti, al pari della Danimarca e a due lunghezze dal Portogallo capolista. 
Ma perché l'impresa si compia è necessario che tutti i tasselli tornino al loro posto. In un giorno di mezza estate, il Tribunale di Arbitrato dello Sport di Losanna, ribaltando le precedenti decisioni Uefa sulla gara Serbia-Albania del famoso 14 ottobre 2014, respinge il ricorso dei padroni di casa (a cui era stata assegnata la vittoria a tavolino, ma anche inflitti tre punti di penalizzazione), ammettendo, allo stesso tempo, quello degli ospiti, assegnando la vittoria per 3-0 ai ragazzi di De Biasi. Giustizia è fatta per la compagine albanese, che sale a quota dieci in graduatoria, a pari punti con la Danimarca (che ha ottenuto il successo interno con la Serbia il 13 giugno) e a -2 dalla capolista Portogallo (vincente in Armenia), ma con una partita in meno rispetto ad entrambi gli avversari. Ecco perché lo scontro diretto del 4 settembre in Danimarca diventa uno snodo cruciale, non perdere significherebbe compiere un passo determinante verso la meta. I giocatori  sbarcano a Copenhagen potendo impostare la gara come più sono abituati a fare, ovvero lasciando l'iniziativa ai padroni di casa e agendo di rimessa. Ne esce una partita che non sarà certo ricordata dagli esteti del calcio, ma inappuntabile dal punto di vista difensivo per gli albanesi, che, dove non arriva la tattica, vengono salvati dalle parate di Berisha e da un paio di salvataggi decisivi del baluardo Cana. E poco importa se, nel finale, gli ospiti sfiorano il gol che li avrebbe addirittura portati in testa al girone, perché la Nazionale della Terra delle Aquile ha a disposizione tre match-ball per centrare il pass per la Francia, i primi due tra le mura amiche con Portogallo e Serbia e, all'ultima giornata, in casa dell'Armenia. Proprio a Yerevan arriva il secondo pari a reti bianche in quattro giorni della Danimarca, risultato che consegna, di fatto, all'Albania la possibilità, con un'eventuale vittoria nel match di qualche ora dopo con i lusitani, di mettere una seria ipoteca sulla qualificazione.

Ma quando il sogno comincia a prendere forma, subentra la paura, perché, se puoi allenare il gioco e la mentalità, l'esperienza non la puoi allenare, quella si costruisce nel tempo, affrontando e superando le difficoltà. I ragazzi di De Biasi sentono la pressione del momento e il risultato dei danesi consiglia Cana e compagni di tenersi stretto il punto contro la formazione di Cristiano Ronaldo, non esponendosi troppo in avanti. Una scelta che paga fino al 92' quando, dopo un legno a testa e diverse occasioni fallite dal Portogallo, Miguel Veloso, con un colpo di testa sugli sviluppi di un calcio d'angolo, rovina i piani dei padroni di casa, che subiscono la prima sconfitta del girone. Una doccia gelata per la squadra albanese, a cui però bussa il destino. La gara casalinga contro la Serbia dell'8 ottobre, considerata ancora una volta ad altissimo rischio, arbitrata da Rizzoli, assume il contorno di una sfida epica, dopo la quale i ragazzi di De Biasi, in caso di vittoria e contemporaneo mancato colpo da tre punti della Danimarca in Portogallo, potrebbero guadagnarsi il passaggio del turno con una giornata d'anticipo, davanti agli eterni rivali. Che, però, pur essendo fuori da ogni discorso di qualificazione, rovinano la festa con un 2-0 maturato negli ultimi minuti, ad opera di Kolarov (91') e Ljajic (94'). Lo scoramento nel volto degli albanesi è ben visibile, ma il successo dei lusitani (a cui sarebbe bastato un punto per la matematica certezza di partecipare agli Europei) sui danesi, giunti alla loro ultima partita, consegna a Cana e compagni la possibilità di conquistare il pass per la Francia, che diventa sempre più un'ossessione, solo vincendo in Armenia (il pareggio, con conseguente arrivo a pari merito con la Danimarca, consentirebbe a quest'ultima di spuntarla, per via della regola del maggior numero di gol segnati fuori casa negli scontri diretti, terminati entrambi con il segno "x").


Ora o mai più. L'11 ottobre 2015 è la data da segnarsi con il circoletto rosso sul calendario. Un'intera Nazione aspetta il momento per liberare l'urlo rimasto strozzato in gola nelle precedenti due gare. L'atmosfera di tensione è palpabile nell'aria, ma questa volta i ragazzi di De Biasi hanno l'obbligo di farcela, sprecare la terza occasione e finire agli spareggi porterebbe ad un contraccolpo psicologico difficile da digerire. La punizione al 6' di  Movsisyan, respinta da Berisha e non ribadita per un soffio in rete da Ghazaryan, che calcia alto da due passi, riecheggia i vecchi fantasmi per la formazione della Terra delle Aquile, che, passata la paura, si riversa subito in avanti, con il tiro dell'ex Torino Basha (ora al Como) intercettato dal portiere avversario, ma con il pallone che arriva dalle parti di Gashi. Nel tentativo di anticipare la punta ospite, Hovhannisyan insacca nella propria porta. E' un'esultanza rabbiosa, per via della rabbia portata dentro nelle ultime giornate, quella dei ragazzi albanesi, che, memori del recente passato, continuano ad attaccare, trovando a metà primo tempo il raddoppio, grazie ad un tocco sottomisura di Xhimshiti sulla punizione del giocatore del Pescara Memushaj. Nella ripresa, dopo un paio di pericoli sventati da Berisha e compagni, arriva il gol della tranquillità firmato da Sadiku ad un quarto d'ora dal termine, anche se l'ex mister dell'Udinese continua a sbracciarsi per tenere alta la concentrazione, perché, come da lui stesso dichiarato: <<Gli albanesi hanno un senso di appartenenza alla Nazione pazzesco, ma anche la tendenza a sedersi appena ottengono qualche risultato>>. E' proprio su questo tasto che ha dovuto insistere l'allenatore trevigiano, che, al fischio finale, abbraccia il vice Tramezzani, prima di tuffarsi nella festa che durerà fino a tarda notte, con il centro di Tirana, nonostante una fitta pioggia, invaso da centinaia di auto che sventolano le bandiere nazionali, al pari del centro della città kosovara Prishtina, dato che oltre la metà del gruppo guidato da De Biasi (che a marzo ha ricevuto, per il risultato conseguito con l'Albania, la Panchina d'Oro "premio speciale") è composta da calciatori originari del Kosovo. Segno di come il calcio possa essere un esempio di unione e di integrazione, in una Nazionale che, come dichiarato dal capitano e anima della squadra Cana, in lacrime dopo la vittoria di Yerevan: <<Ha dimostrato che quando si lavora in gruppo tutto è possibile>>.

L'Albania non vuole svegliarsi dal suo sogno e intende continuare a stupire, dato che proprio ora che l'Aquila ha spiegato le ali, vuole volare sempre più in alto.     


martedì 12 aprile 2016

Tre domande a... Giulia Merigo

Giulia è una giovane calciatrice classe '94, modenese di provenienza ed ora giocatrice in pianta stabile nella rosa del Football Milan Ladies, squadra femminile militante in Serie B affiliata all'A.C. Milan. Entra a far parte della compagine rossonera proprio all'inizio di questa stagione, dopo aver terminato trionfalmente la scorsa, portando insieme alle sue compagne l'ASD San Paolo in Serie C. Nella provincia di Modena comincia ad avvicinarsi a questo sport e a farsi notare per le sue indiscutibili doti tecniche, vestendo le maglie di Medolla, Folgore Mirandola e San Paolo. Proprio quest'ultimo trasferimento fu dovuto non solo alle sue qualità, ma anche a circostanze alquanto spiacevoli causate dal terremoto dell'emilia, ormai risalente al maggio 2012.
A seguito di questa catastrofe naturale, che causò la perdita del tetto familiare, la sua famiglia decise di trasferirsi da San Felice a Modena e proprio nel capoluogo di provincia, Giulia, entrò in contatto con il mondo della serie D.
A San Paolo rimarrà per ben tre stagioni, crescendo anno dopo anno e distinguendosi sempre più dalle sue compagne. La svolta però arrivò, come detto sopra, solo l'anno scorso, quando con i suoi gol portò il San Paolo in Serie C. Dopo quella fantastica stagione però, Giulia, si trovò dinnanzi ad un bivio: o continuare gli studi universitari a Milano e abbandonare il calcio, la sua più grande passione, o cercare e trovare una squadra nel milanese che le permettesse di allenarsi con regolarità, senza rinunciare allo studio, da sempre una sua grande priorità.
Alla fine, grazie al grande supporto della sua famiglia, riuscì ad entrare nella selezione del Football Milan Ladies ed a colmare uno dei suoi più grandi sogni, giocare in Serie B.



Cosa significa giocare a calcio per te che sei una ragazza?

"Tutto è nato grazie a mio padre, che fin da molto piccola mi ha avvicinato a questo sport attraverso molti modi, dall'accompagnarmi a vedere le partite del Milan allo stadio fino ai gesti più semplici come il regalo di una maglia. La mia passione è nata così, poi si è fortunatamente trasferita anche sul campo, iniziando a giocare con maschi della mia classe. Al contrario di quello che possono pensare gli altri, non mi sono mai trovata male con i miei compagni maschi, anzi c'è sempre stato un rapporto di amicizia sano e privo di astio, forse perché riuscivo a segnare molto più di loro... (scherza)

Secondo te il calcio femminile si sta espandendo in Italia e in Europa?

"In Europa sicuramente sì, perché già da qualche hanno esiste una partnership fra le società maschili e quelle femminili, agevolando la formazione di squadre e settori giovanili femminili, che possono così svilupparsi godendo delle risorse dei grandi club maschili. Inoltre proprio questo è stato fondamentale nel percorso verso il professionismo, cosa non ancora riconosciuta in Italia. 
Noi veniamo considerate dilettanti che portano avanti solo ed esclusivamente una passione e credo che questo non sia giusto. Non siamo affatto retribuite e molte atlete, come me, che vorrebbero diventare professioniste a tutti gli effetti, sono costrette a trovarsi un secondo lavoro per vivere. Ma forse la cosa più brutta è che non essendo considerate professioniste non ci viene neppure riconosciuto il duro lavoro di allenamento che portiamo avanti 5 volte alla settimana.
Sicuramente l'Italia si è mossa e pian piano si sta muovendo nella giusta direzione, ma c'è ancora tanta strada da fare e spero che si arrivi ad un deciso miglioramento delle nostre condizioni. Resta però innegabile che  il calcio femminile non potrà mai vantare l'appeal del calcio maschile, per ovvi motivi atletici e tecnici, ma penso che vada comunque apprezzata la passione che nutriamo per questo sport, che ci spinge a sacrificare molti aspetti della nostra vita. Non credo che nel mondo maschile ci sarebbe una quantità simile di calciatori disposti a giocare senza uno stipendio regolare."

Cosa ti aspetti dal tuo futuro?

"Io ho sempre fatto molta gavetta e l'aver raggiunto quest'anno la Serie B, per me, è già un grande traguardo, anche se l'obiettivo principale è sempre quello di puntare il più in alto possibile. 
In questo momento, il mio primo pensiero è di riuscire a tornare il più in fretta possibile da questo grave infortunio, in modo competitivo e da riuscire ad esprimermi in campo come facevo prima per concludere al meglio il campionato e per mettermi ulteriormente in mostra. 
Però al di là di ogni cosa, il mio più grande sogno sarebbe quello di riuscire a vestire la maglia azzurra, un'esperienza davvero incredibile rispetto alle altre." 

venerdì 8 aprile 2016

Il sogno albanese, l'orgoglio di esserlo

Di Mattia Bannò - Per costruire un grande risultato, bisogna partire da lontano ed è necessario diverso tempo per gettare le basi e inculcare la mentalità e lo spirito che possono portare ad entrare nella storia. Il quinto posto nel girone di qualificazione ai Mondiali 2014 non scalfisce il feeling che si è creato tra De Biasi e il popolo albanese, anzi lo rafforza, con la consapevolezza di poter lottare insieme per la conquista di un sogno comune. Il 21 ottobre 2013 la Federazione prolunga il matrimonio con l'ex mister del Torino per altri due anni, fino al termine delle qualificazioni agli Europei 2016, permettendo così al commissario tecnico trevigiano di proseguire il percorso iniziato due stagioni prima, che non può che passare da un tassello fondamentale, che sta alla base di tutto, riassumibile in una sola parola: organizzazione. Prima ancora dell'organizzazione all'interno del rettangolo verde, è necessario trovare quella al di fuori del campo. Ed è proprio qui che si inserisce il prezioso lavoro capillare del vice allenatore Paolo Tramezzani, che gira i campi di mezza Europa per sondare la disponibilità di giocatori convocabili, provenienti da un Paese multietnico, di far parte del progetto, perché per raggiungere una grande impresa servono uomini prima che calciatori, che siano attaccati alla maglia con un senso di appartenenza che solo il sentirsi parte della propria Nazione può dare e disposti a sacrificarsi per la causa, anteponendo l'Obiettivo alla gloria personale. L'attaccamento alla Patria nella cosiddetta "Terra delle Aquile" è qualcosa di viscerale, provate a camminare per le strade di Tirana o di Scutari e chiedere ad un passante cosa significhi essere albanese, vi risponderà che rappresenta un orgoglio da difendere anche a costo della stessa vita. Vedere per credere la partita di esordio delle qualificazioni in casa del Portogallo, il 7 settembre 2014, quando Cana e compagni riescono per la prima volta nella loro storia, al sesto tentativo, a vincere contro i lusitani, grazie ad una splendida girata al volo di Balaj, ma soprattutto grazie ad una prova encomiabile di squadra nel seguire i dettami del proprio mister, capace di dare quell'organizzazione del tipico gioco all'italiana, con nove uomini dietro la linea della palla, per poi agire in contropiede. Per la prima volta, il mondo si accorge della compagine albanese, che l'11 ottobre ottiene un pari interno con la Danimarca, che si rivelerà la principale pretendente al secondo posto.


Ma c'è una data in cui cambia tutto. Il 14 ottobre 2014 per la prima volta nella storia si affrontano su un campo di calcio Serbia e Albania. Le recenti vicissitudini storiche (la guerra del 1999 con la pulizia etnica di Milosevic e i bombardamenti della Nato) hanno imposto rigide misure restrittive, con il divieto di ingresso allo stadio per gli albanesi, ad eccezione della delegazione ufficiale, formata dal Primo Ministro Edi Rama, dal fratello e da altre personalità importanti. Al 41' del primo tempo l'arbitro inglese Atkinson sospende la gara per un lancio di fumogeni in campo. Mentre il gioco è fermo un drone con appesa una bandiera nera, con una macchia rossa al centro, due volti e una scritta, sorvola il terreno di gioco. E' la bandiera della Grande Albania, che raffigura il territorio comprensivo di regioni che facevano parte dello stato dell'Aquila a doppia testa, ovvero il Kosovo e parti di territori del Montenegro, della Macedonia e della Grecia. Vi compaiono anche i volti di Kemali e Boletini (il comandante della guerriglia della resistenza albanese nei confronti dell'Impero Ottomano, del Kosovo e della Serbia), i due condottieri più rappresentativi dell'indipendenza dall'Impero turco, ottenuta nel 1912. Sulla bandiera c'è pure la scritta "autoctona". Il difensore serbo Mitrovic la strappa dal drone e si scatena il putiferio.



I giocatori ospiti lo aggrediscono, ma a loro volta vengono travolti dai tifosi serbi che entrano in campo (armati di sedie e seggiolini), tra di loro c'è anche Ivan Bogdanov, detto "la bestia", che "ordinò" la sospensione dell'amichevole di Genova Italia-Serbia nell'ottobre 2010. Si crea una rissa furibonda, con i ragazzi di De Biasi costretti a ripararsi negli spogliatoi. La partita viene sospesa per 40' e non riprenderà più: gli albanesi, infatti, nonostante l'invito del direttore di gara, manifestano la propria preoccupazione a tornare sul terreno di gioco. Sarà proprio questo il motivo addotto dalla Disciplinare della Uefa nella decisione di una decina di giorni dopo di condannare l'Albania alla sconfitta a tavolino per 3-0, ma con tre punti di penalizzazione per la Serbia, che avrebbe dovuto giocare le successive due gare interne a porte chiuse, pene a cui si aggiungono i 100mila euro di multa comminati ad ogni Federazione.

Oltre al danno arriva dunque la beffa per la Nazionale delle Aquile, con il ct italiano che, al "Messaggero", non esita ad esprimere la sua amarezza, in attesa dell'esito del ricorso, presentato dalla Federazione albanese: <<Sono deluso da una sentenza che non ci dà giustizia. Capisco la Commissione ma credo che sia difficile per noi accettare un verdetto che ci vede sconfitti su tutti i fronti. Ci hanno tolto anche quello che avevamo guadagnato sul campo. Cosa doveva succedere di più?>>. Tuttavia, Cana e compagni non si fanno demoralizzare da un evento che ha scosso la Nazione, riversando la loro rabbia positiva in campo, riuscendo a pareggiare per la prima volta nella loro storia con la Francia nel test di Rennes del 14 novembre, venendo ripresi ad un quarto d'ora dalla fine, dopo il vantaggio di Mavraj, e bloccando gli Azzurri fino a nove minuti dal termine (gol di Okaka) nell'amichevole di Genova di quattro giorni dopo, in cui 15mila albanesi applaudono l'inno italiano e mostrano la loro vicinanza alle località colpite dall'alluvione, in un'aria di festa, in cui prevale lo spettacolo sul campo e soprattutto sugli spalti, che ribalta completamente quanto visto con la Serbia nello stesso stadio due anni prima. D'altronde, come scrisse Pashko Vasa, un poeta e intellettuale albanese: "Non guardate chiese e moschee, la religione degli albanesi è l'albanesità", segno di come l'essere albanese sia un segno d'identità che viene prima di tutto. Non a caso, in Albania convivono cattolici, musulmani e ortodossi e, durante la propria visita a Tirana nel settembre 2014, Papa Francesco ha sottolineato come la Terra delle Aquile sia un grande esempio di convivenza di etnie e religioni diverse. Prima che dei successi sul campo, è senza dubbio questa la vittoria più importante.

   

martedì 5 aprile 2016

Tre domande a... Mauro Mayer

Mauro Mayer è un ex-calciatore professionista, ora allenatore nelle giovanili del Venezia e fino a poco tempo fa del Sassuolo Calcio.
Prima di tuffarsi nel mondo giovanile, conduce una carriera da difensore arrivando fino a vertici del nostro calcio, specialmente durante il periodo in cui vestiva la maglia gialla del Modena FC. Correttezza, rispetto e lealtà verso il gruppo erano le sue grandi virtù, che gli permisero di lasciare un grande ricordo nelle città di Modena e Terni e di diventare un esempio per ogni giovane giocatore emergente. 
Per ora le possibilità di vederlo su una panchina tra i professionisti sono molto poche e remote, ma in questo settore non bisogna mai dare nulla per scontato. 


Secondo te quali sono le cose e i valori più importanti che un allenatore deve saper trasmettere ai suoi giocatori?

"Credo molto nel rispetto e penso sia un valore molto importante, verso il materiale, i ruoli, se stessi, gli avversari e questo sport. Secondo me il calcio viene spesso denigrato a causa di tutto quello che succede intorno a quello che dovrebbe essere l'unico interesse, ovvero la partita e l'emozione che ti trasmette. Inoltre credo che il lavoro e il sacrificio ripaghino sempre. Questo cerco si tramettere ai miei ragazzi."

Quali sono le principali differenze tra i giovani di ieri e quelli di oggi? 

"I giovani di oggi possiedono meno capacità di coordinazione e meno capacità motorie, una volta giocavamo sempre e dovunque e ci adattavamo. Ora praticano molte meno ore e di conseguenza toccano meno la palla. Però nel calcio di oggi viene data molta più attenzione alle qualità atletiche rispetto al passato e se si associano alle qualità tecniche si raggiunge il calciatore modello."

Pensi che la "Longobarda", per il gruppo che era sia un modello per le squadre di oggi?

"Secondo me tutte le squadre che hanno ottenuto più vittorie, basti pensare al Carpi di recente, possano essere un modello. Modena e Terni mi hanno insegnato che il gruppo può farti raggiungere traguardi incredibili."

venerdì 1 aprile 2016

Il sogno albanese, dove tutto ebbe inizio...

Di Mattia Bannò - Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile. Chissà se nel motivare i propri giocatori nella conquista della prima storica qualificazione dell'Albania agli Europei francesi, De Biasi, Giovanni all'anagrafe, ma detto Gianni dagli addetti ai lavori, si sia ispirato alla celebre frase di San Francesco d'Assisi. Sicuramente lo ha fatto Madre Teresa (nata a Skopje da una famiglia di genitori albanesi originari del Kosovo), personaggio che rappresenta l'orgoglio di una Nazione, che si mise al servizio dei "più poveri tra i poveri", compiendo dei veri e propri miracoli. Nulla di paragonabile rispetto a quanto fatto da Cana e compagni, ma qui il termine miracolo, ovviamente inteso in senso sportivo, sarà preso in prestito, anche perché il destino vuole che tutto abbia avuto inizio proprio dall'aeroporto di Tirana, che, guarda caso, porta proprio il nome della suora di Calcutta. 

Come ogni storia d'amore che si rispetti, tutto è cominciato con una lettera di dichiarazione d'intenti che il 29 febbraio 2012, poche ore prima dell'esordio da CT, un'amichevole in trasferta contro la Georgia, De Biasi (capace in soli due anni, dal 2000 al 2002, di portare il Modena dalla C-1 alla A con annessa salvezza nella stagione successiva, ma in cerca di riscatto, dopo una promozione nella massima serie e due permanenze nell'olimpo del calcio conquistate a Torino, a seguito dell'esonero subito da subentrato nell'annata 2009/10 a Udine) recapita ai propri calciatori, in cui, come da lui stesso dichiarato in una recente intervista a "La Stampa", <<c’era scritto che se mi seguivano potevano entrare nella storia albanese>>. Detto fatto, anche se, ovviamente, per costruire un grande risultato, bisogna partire da lontano ed è necessario diverso tempo per gettare le basi e inculcare la mentalità e lo spirito che possono portare ad un'impresa simile. Proprio da qui, nella prossima puntata, partirà il nostro viaggio, ripercorrendo le varie tappe che hanno dato vita al sogno albanese.