Le origini e
i primi successi:
Il primo documento a noi pervenuto riguardo l’esistenza
di un club sportivo genovese è datato 7 settembre 1893 quando un piccolo gruppo
di giovani, appartenenti alla comunità inglese di Genova, si ritrovò per
fondare il Genoa Cricket and Athletic Club. Solo più tardi nel 1896 fu allestita
la prima sezione di foot-ball da un medico inglese arrivato in Italia per curare i marinai inglesi delle navi carboniere.
Appassionato di religioni orientali, conosceva il sanscrito ed il greco,
viaggiatore instancabile, corrispondente per il Daily Mail, appassionato di
pugilato e filantropo, questo è James Richardson Spensley. Il calcio, che fu
l’ultimo sport britannico ad arrivare in Italia, era considerato dalla
maggioranza dei soci del club, provenienti dalla medio alta borghesia, uno
sport per le classi sociali meno agiate ma ben presto il calcio si diffuse
rapidamente in Italia e coinvolse subito i giovani, che lo cominciarono a
praticare a livello dilettantistico durante il sabato pomeriggio. Spensley
riuscì a reclutare giocatori soprattutto tra i marinai delle navi britanniche
ormeggiate in porto e tra gli operai impiegati nelle ferriere Bruzzo ma il 10
aprile 1897 l’assemblea gli consentì di accogliere tra le sue fila anche atleti
di origine italiana, dapprima con un limite massimo di 50 giocatori poi senza
alcun limite. I primi allenamenti si tennero presso il campo del Genoa Cricket
and Athletic Club in piazza d’armi del Campasso, in seguito per motivi di
spazio la squadra si trasferì presso Ponte Carrega dove il medico inglese
riuscì a farsi dare il permesso per allenarsi nello spazio già utilizzato dalla
Società Ginnastica Colombo vicino il torrente Bisagno.
(J. R. Spensley)
Dopo la nascita della Federazione
Italiana del Football, tenutasi a Torino in due sedute, il 15 e il 26 marzo
1868, si disputò l’8 maggio il primo
campionato italiano di calcio a Torino presso il velodromo Umberto I in occasione dell’Esposizione Internazionale per i
cinquant’anni dello Statuto Albertino. Le squadre partecipanti erano quattro di
cui tre provenienti da Torino: l’International Football Club, la Società
ginnastica e il Football Club Torinese. Il Genoa, in divisa bianca, esordì sfidando la Società Ginnastica
battendola per 2-1 e qualificandosi per la finale pomeridiana mentre L’International
FC vinse per 1-0 contro l’FC Torinese. Dunque la finale per la conquista del
primo campionato vide sfidarsi il Genoa e l’International FC. Il Genoa scendeva
in campo con questa formazione: Baird, De Galleani, Ghigliotti, Pasteur,
Spensley, Ghiglione, Le Pelley, Bertollo, Dapples, Bocciardo, Leaver. Dopo 90’
la partita vedeva le squadre ancora sul risultato di 1-1 e furono necessari i
tempi supplementari per decretare un vincitore. Ma il “golden goal” di Leaver pose fine alla partita e dopo tre grida di
“Urrah!”, alla moda britannica, il Genoa Cricket and Athletic Club si laureò
per la prima volta nella sua storia e nella storia del calcio italiano
“campione d’Italia”. La squadra vincitrice fu premiata con una coppa,
generosamente donata dal Duca degli Abruzzi, e delle medaglie d’oro per ogni
giocatore in stile Rococò. In quell’ anno per il Genoa iniziò un lungo periodo
di successi e una rivalità decennale con l’International di Torino che
contenderà quasi sempre il titolo ai genoani negli anni seguenti.
(Formazione Genoa, 8 maggio 1898)
Nella stagione successiva il Genoa
fissa definitivamente la sua ragione sociale in Genoa Cricket and Football Club
indossando una nuova divisa bianca con strisce verticale azzurre. La stagione
inizia bene con un successo contro l’FBC Ligure il 26 marzo nelle selezioni regionale e finisce meglio con
la conquista del secondo titolo sconfiggendo nuovamente l’International FC in
finale per 3 reti a 1. Appena due settimane dopo cinque giocatori del Genoa
parteciperanno alla prima selezione nazionale che sfiderà la rappresentativa
svizzera al velodromo “Umberto I” di
Torino perdendo 2-1 questo fu il primo vero esordio della FIF ma di nazionale
vera e propria non se ne parlerà fino al 1910.
(Il velodromo "Umberto I" di Torino)
All’alba del nuovo secolo in Italia
cominciano a formarsi sempre più squadre di calcio e il campionato cominciò a
farsi sempre più interessante e competitivo. Dalle eliminatorie regionali piemontesi
si qualificò l’FC Torinese dopo aver battuto la Società Ginnastica e per la
prima volta la Juventus, che fino a qualche anno prima era la semplice squadra
del liceo d’Azeglio. Dalla Lombardia risultò vincitrice del girone regionale il
Milan che sconfisse la Mediolanum mentre dal girone ligure la spuntò ancora il
Genoa imponendosi per 7-0 sulla Sampierdarenese. La finale si svolse a Torino,
come di consueto, e si incontrarono il Genoa, detentore del titolo, contro l’FC
Torinese, che nelle semifinali riuscì ad imporsi sul Milan, concludendosi 3-1
per i liguri, i quali in questo modo alzarono il trofeo per la terza volta consecutivamente.
Il 1901 fu l’anno del Milan che dopo
un indimenticabile cavalcata pose fine all’egemonia genoana diventando per la
prima volta nella sua storia campione d’Italia. La squadra milanese riportò una
serie di vittorie consecutive incredibili sconfiggendo prima la Mediolanum e
poi la Juventus arrivando in finale a Ponte Carrega a giocarsela con i grifoni
agguerriti più che mai. Il titolo però dopo tre anni in casa genoana andò a
Milano dopo una strabiliante vittoria dei rossoneri proprio in casa del Genoa
dove non aveva mai perso! Quella stagione fu un anno di cambiamenti anche per
il Genoa che cambiò ancora la propria casacca assumendo una divisa a quadretti
amaranto-blu, solo nel 1904 si arrivò a stabilire dei colori sociali definitivi
rosso-blu come quelli odierni.
(Il Milan del primo scudetto, 1901)
La concorrenza cominciò a farsi ancora
più forte nel 1902 e il Genoa dovette faticare per portare a casa lo “scudetto” (in realtà di scudetto si
comincerà a parlare solo nel 1924). I grifoni cominciarono il campionato con un
vittoria nel derby contro l’Andrea Doria, vincendo contro la Mediolanum e
arrivando in semifinale contro FC Torinese. Dopo una semifinale combattutissima
(4-3 il risultato finale) il Genoa riuscì a qualificarsi per la finale di campionato
contro il Milan ma questa volta a Ponte Carrega i genovesi si imposero sui
rossoneri aggiudicandosi il titolo per la quarta volta nella loro storia. Il
Genoa proprio nel 1902 fu la prima squadra italiana in assoluto ad aprire un
vivaio giovanile riservato ai calciatori di età inferiore a 16 anni e di lì a
poco a vincere il primo campionato giovanile nella storia del nostro calcio.
Solo due anni più tardi questi ragazzini andranno a prendere il posto dei
grandi fondatori di Spensley in prima squadra.
Il trofeo rimase a Genova per altre
due stagioni (1903-1904) ma nel 1905 fu proprio la Juventus a strappare il
titolo al Grifone e ad arrestare il dominio assoluto del Genoa di quegli anni. Altro
primato rossoblu si verificò il 27 aprile 1903 quando la squadra genovese sfidò
per la prima volta una squadra straniera, il Velo Club Nizza, vincendo fuori
casa con un giusto 0-3 e a Ponte Carrega
con una goleada (6-0). Una curiosità piuttosto interessante, riguardo le
tifoserie italiane di ieri e di oggi, la prima invasione di campo avvenne il 18 marzo 1906 durante Juventus-Genoa a Torino che costrinse la sospensione
del match che fu rigiocato solo qualche settimana più tardi a Milano, per
quest’evento eccezionale furono organizzati i primi due treni di tifosi.
(Juventus campione d'Italia 1905)
A seguito delle vittorie di Juventus
(1905) e Milan (1906 e 1907) cominciò un periodo di transizione per il grifone
che terminerà qualche anno dopo nel 1911. Proprio nel 1907 infatti il Genoa
subì la sua prima eliminazione dal girone eliminatorio regionale per mano della
concittadina Andrea Doria che riuscì ad imporsi per ben 3-1. In quel periodo i
rossoblu cambiarono anche il proprio stadio poiché il campo di Ponte Carrega
era destinato ad uso industriale e alla costruzione di un gasometro. Il dirigente-giocatore
Goetzlof, commerciante di carbone valdese, riuscì ad aggiudicarsi un campo
nella zona di San Gottardo dove il Genoa avrebbe giocato per i successivi tre
anni. L’inaugurazione del nuovo stadio si tenne l’8 dicembre 1907 con una partita
amichevole tra Genoa ed equipaggio del vapore inglese Canopic. Poco tempo dopo
però si resero conto dell’inadeguatezza di questo campo a causa della lontananza
dal centro cittadino e dalla limitata capienza delle tribune, in un periodo
dove in pubblico era in costante aumento. Dunque il socio Musso Piantelli fece
una proposta: trasferire il nuovo stadio nel quartiere cittadino di Marassi
all’interno del galoppatoio adiacente alla sua villa cinquecentesca. Pasteur,
presidente del Genoa cfc di quegli anni, valutò attentamente questa proposta e
accettò la nuova risistemazione dello stadio. Il nuovo campo venne inaugurato
il 22 gennaio 1911 ma solo qualche mese più tardi venne celebrata un’altra
inaugurazione poiché la posizione iniziale del campo, che era perpendicolare al
torrente Bisagno, fu cambiata e disposta parallelamente al torrente. L’aspetto
del nuovo stadio fin da subito richiamava quello degli stadi inglesi con due
tribune coperte e una capienza massima di ben 25.000 posti, tutt’ora anche se lo
stadio chiaramente ha mutato il suo aspetto trasmette ancora quella magia forse
per la strettissima vicinanza delle tribune al campo di gioco, il quale durante
le partite più importanti sembra quasi infiammato dalle grida delle tifoserie.
(Il vecchio stadio di marassi)
Nel 1908 la federazione decise di dar
ascolto alle lamentele di diverse squadre che accusavano un eccessivo uso degli
stranieri nel nostro campionato e chiedevano una modifica del regolamento
vietando il tesseramento e l’impiego di calciatori che non fossero italiani. La
FIF accolse questa assurda richiesta e diede vita al cosiddetto “campionato autarchico” favorendo
squadre come la Pro Vercelli che in questo modo vinse 5 scudetti in 6 anni. Il
Grifone, data la sua massiccia presenza di britannici, fu fortemente penalizzato
da questa modifica del regolamento e insieme ad altre squadre, tra cui Inter,
Torino e solo dopo un paio di giornate anche la Juventus, decise di dissociarsi
dal campionato di quell’anno non partecipandovi e lasciando vita facile a
squadre come la Pro Vercelli o il Casale.
Nel frattempo il Genoa rafforzò ulteriormente la sua rosa con l’arrivo
di tre giocatori elvetici: Hug (jolly), Herzog (mediano) ed Hermann (mezzala)
che raggiunsero il connazionale Hurni (centravanti). La rosa infine fu
completata con l’arrivo di due giocatori italiani, il centromediano Luigi
Ferraris e l’ala Marassi detto “catapulta”
provenienti dalle giovanile di Spensley. Finalmente nella stagione successiva
(1909) venne abolito il precedente divieto di utilizzo di giocatori stranieri e
le squadre più blasonate tornarono a far parte del campionato.
(La fortissima Pro Vercelli, 1908)
Gli anni ’10
e la “Grande Guerra”:
Nel 1912 iniziano gli anni del Genoa d’oro,
iniziò un grande progetto partendo dall’arrivo del nuovo allenatore, William
Garbutt. Costui era un’ ex ala di Arsenal e Blackburn Rovers che lasciò il calcio anticipatamente a causa di un
grave infortunio al ginocchio e che ora aveva avviato una promettente carriera
da allenatore. Il nuoco commissario tecnico del Genoa saprà creare un gruppo
formidabile grazie al suo carisma, alla sua personalità e al suo autoritarismo
che gli permetterà di ottenere sempre il giusto rispetto dallo spogliatoio. La società
fece ottime mosse anche sul mercato e infatti arrivarono numerosi giocatori
britannici a rinforzare la rosa, arrivarono Eastwood, Grant, Wallsingham (ala),
Mitchell (ala) e Macpherson (attaccante).
I primi
risultati arrivarono e il nuovo Genoa conquistò la ambitissima coppa Lombardia
in cui veniva messa in palio una coppa scolpita in bronzo e argento per un
valore complessivo di ben 10.000 lire. La coppa fu offerta dal marchese Piero
Negrotto, già presidente del Casteggio FBC, che avrebbe consegnato l’ambito
premio solo alla squadra che avesse vinto la competizione per almeno 7 volte
anche non consecutivamente. La squadra di Garbutt non perse l’occasione per
mettere in mostra il proprio valore e vinse sette volte di fila il torneo
aggiudicandosi la preziosissima coppa. Altro grande cambiamento di quegli anni
fu l’arrivo alla presidenza di Geo Davidson, imprenditore scozzese e uno dei
primi fondatori del Cricket and Athletic Club.
(William Garbutt e l'inseparabile pipa)
Il magnate scozzese
iniziò fin da subito ad investire grosse somme nel club rossoblu acquistando
giocatori di ottimo livello per competere nella corsa scudetto, arrivarono
giocatori dal calibro di De Vecchi, dal
Milan, Attilio Fresia per 400 lire, dall’Andrea Doria, Sardi e Santamaria
sempre dall’Andrea Doria per 1600 lire a testa. L’esuberante Davidson, abituato
al professionismo del football britannico, ingenuamente non si curò delle
possibili reazioni della federazione alle sue operazioni di mercato. Non a caso
la FIF fraintese il neo-presidente considerando inaccettabile e scandaloso un
tale comportamento in un campionato dilettantistico come quello italiano. Il professionismo
non si era ancora insediato in Italia e il calcio era visto come una sorta di
dopo-lavoro, anche se in realtà molto spesso i giocatori venivano solo registrati
come dipendenti delle imprese dei rispettivi presidenti ma di fatto nessuno di
loro , salvo rare eccezioni, aveva mai lavorato. Il comportamento di Davidson
fu giudicato molto severamente tanto è vero che il Genoa rischiò la radiazione
e la sospensione a vita di giocatori e dirigenti. A calmare gli animi
intervenne l’ex presidente Pasteur che riuscì a persuadere la federcalcio a non
prendere decisioni troppo affrettate e a rivalutare le decisioni prese. Nonostante
le ottime premesse il Genoa quell’anno non riuscì a portare a casa lo scudetto
in quanto fu battuto dal Casale per 2-1 nella fase finale del campionato.
(Il milanese De Vecchi)
Dopo la clamorosa vittoria del Casale
nella stagione ’13-14, il Genoa sembrava deciso a riprendersi il titolo di
campione d’Italia. Il campionato sembrava volgere al meglio per i ragazzi di
Garbutt, mancava una sola giornata alla fine e lo scudetto sarebbe stato loro
ma la Grande Guerra era alle porte e la federazione decise di sospendere il
campionato di football a causa della mobilitazione generale prevista per il 24
maggio 1915. L’Italia scese in guerra a fianco di Francia e Inghilterra. Il
conflitto mondiale investì tutto e tutti compreso il mondo sportivo che dovette
adattarsi a questa anomala situazione, il Genoa fu duramente colpito durante la
guerra a causa di una massiccia presenza di giocatori sia inglesi sia italiani
in rosa che caddero durante le azioni di guerra nei vari combattimenti sui
campi di battaglia di tutt’Europa. Il primo a cadere fu l’amato Luigi Ferraris,
giocatore fuoriuscito dalle giovanili rossoblu, poi a seguire verranno a mancare il portiere Adolfo Gnecco, l’ala
Carlo Marassi, Alberto Sussone e Claudio Casanova. Ma forse la perdita più
amara e inaspettata fu la morte di James Spensley, arruolatosi come ufficiale
medico, fu ferito mentre soccorreva un soldato oltre le linee nemiche e dopo
oltre un mese di agonia morì il 10 novembre 1915. A memoria di questi caduti il
Genoa Cricket and Football Club decise di esporre una lapide commemorativa
presso la tribuna in ricordo dei 25 soci del club caduti durante la prima
guerra mondiale. Il nuovo stadio di Marassi fu dedicato proprio al già citato
Luigi Ferraris e tutt’ora porta il suo nome. Ci fu però anche motivo di
orgoglio per il Genoa durante la guerra poiché Giuseppe Castruccio, vincitore
con la maglia rossoblu del campionato riserve del 1904, fu insignito con la
medaglia d’oro al valore per aver salvato da solo nella notte del 22 novembre
1917 un dirigibile italiano gravemente danneggiato dalla contraerea austriaca.
(Luigi Ferraris prima della "Grande Guerra")
Gli anni ’20:
Finito il conflitto le attività
sportive ripartirono solo nel 1919 e in quell’anno la federazione decise di
assegnare il titolo di campione d’Italia per la stagione 1914-1915 al Genoa,
che tanto aveva arrischiato economicamente per aggiudicarsi quello scudetto. Il
primo campionato dopo il conflitto mondiale si rivelò un buona annata per il
grifone che si vide battuto solo nella fase finale dei gironi settentrionali dalla
Juventus, che vinse solo grazie a due errori dell’arbitro Varisco che assegnò
ai Bianconeri prima un rigore inesistente, poi un gol in palese fuorigioco.
Alla luce di siffatte irregolarità lasciarono anzitempo il campo De Vecchi,
Della casa mentre Traverso abbandonò volontariamente il rettangolo di gioco. Il
Genoa dovette terminare la partita in otto giocatori e subire un pesante
sconfitta. Successivamente con tre squalificati i Grifoni riuscirono a
strappare solo un 1-1 a Modena contro l’Internazionale e di conseguenza
andarono incontro ad un inevitabile eliminazione, dato che aveva già battuto la
Juve per 1-0. Quell’anno il titolo passò nelle mani dei neroazzurri che in
finale a Bologna sconfissero il Livorno. Il 1920 fu un anno cruciale e di
cambiamenti ai vertici del club infatti Davidson cedette il posto al genovese
Guido Sanguineti, senza però lasciare definitivamente il club ma ricopre prendo
la carica di vicepresidente fino al ’23 e rimanendo nel consiglio sino al 1927.
Inoltre la squadra fu stravolta non solo dal passaggio di testimone alla
presidenza ma anche dalla partenza del vero regista del Genoa di allora, il
fortissimo Santamaria che passò alla Novese. A seguito di tutte queste
vicissitudini la stagione 1920-1921 si rivelò assai negativa per i grifoni che
a stento superarono la fase eliminatoria ligure e qualificandosi poi alle semifinali,
senza però andare oltre. Di conseguenza la dirigenza decise di intervenire
pesantemente sul mercato per risollevare le sorti dell’allora club più titolato
d’Italia e infatti fu preso De Prà, Moruzzi e Morchio dalla Spes, Luigi
Burlando (nazionale italiano di football e pallanuoto) dalla Andrea Doria ed
infine dalla Serinitas arrivò Edoardo Catto, il più grande marcatore della
storia del Genoa Cricket and Football Club.
(Luigi Burlando)
Dunque il Grifone nel 1921-22 si
presentava come una delle squadre candidate al titolo, ma intanto in quei mesi
la federazione si era nuovamente scissa in due parti: la CCI (Confederazione
Calcistica Italiana), a cui aderirono varie squadre molto forti come lo stesso
Genoa, e la FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio). Una delle divergenze
maggiori tra le due parti fu la conservazione o l’abolizione dei gironi
regionali che furono mantenuti solo dalla FIGC mentre la CCI introdusse 4
gironi, 2 al nord e 2 al sud. Dopo un avvio di campionato ottimo il Genoa di
Garbutt si ritrovò in semifinale la rivale Pro Vercelli. Dopo lo 0-0 dell’andata
i rossoblu si fecero ingenuamente battere a marassi dai piemontesi che in
questo modo poterono raggiungere la finale e conquistare il settimo ed ultimo
titolo nazionale. Sempre in quell’annata
il Genoa raggiungerà altri primati assoluti come la clamorosa trasferta a
Savona, risalente al 26 marzo, dove la formazione rossoblu fu seguita da circa
500 tifosi che noleggiando una vecchia nave, di nome Bon Voyage, arrivarono a destinazione dopo più di 4 ore di
traversata causa il maltempo. Nel giugno del ’22 a marassi il grifone ebbe
l’onore di ospitare il Liverpool, compagine blasonata del football britannico,
che si batté contro i grifoni in un’ amichevole terminata 4-1 per i “Reds”, a
seguito della quale gli inglesi dichiararono che il Genoa fosse l’unica
squadra, fra quelle incontrate durante la tournèe italiana, degna di
partecipare al campionato britannico, va infatti ricordato che le squadre
inglesi solitamente snobbavano le squadre degli altri paesi e solo
eccezionalmente si concedevano tournèe sul continente. Proprio in quella grande
manifestazione il portiere De Prà ebbe il piacere di conoscere Scott, famoso
“goalkeeper” britannico e considerato uno dei migliori portieri dell’epoca. Da
questo incontro emerse un simpatico siparietto: Scott descrisse all’italiano De
Prà un metodo di allenamento che lui stesso utilizzava per esercitarsi nei
colpi di reni, non a caso l’esercizio consisteva nel parare i tiri dei compagni
solo con i piedi mentre si era appesi alla traversa.
(Giovanni De Prà)
Appena un anno più tardi le due
federazioni si riunificarono dando vita nuovamente ad un torneo unico. La
stagione ’22-23 si rivelò per il Genoa non solo un anno di successi ma anche di
grandi record: i ragazzi di Garbutt vinsero il campionato con 28 risultati
utili consecutivi e 0 sconfitte conquistando l’ottavo scudetto della loro
storia. La finale di ritorno si disputò a Roma contro la Lazio e in
quell’occasione la squadra venne ricevuta dal Papa e dal Capo del Governo
Benito Mussolini, che esaltò i genoani con parole vigorose: “Siete i più forti, insegnate a questi
romani come si gioca! Domani dovete vincere!” . A seguito di questo grande
risultato i rossoblu furono richiesti
dalla maggioranza degli appassionati di football sud-americani che erano molto
curiosi di guardare da vicino una delle squadre più forte dell’epoca, la
dirigenza dunque decise di organizzare una tournèe in America Latina portando
la squadra in Argentina e Uruguay.
La stagione 1923-24 fu un anno
speciale per il Genoa poiché il 31esimo anniversario della fondazione del
“Vecchio Cricket” coincise con la vittoria del nono ed ultimo scudetto il 7
settembre 1924. Sempre in quella magica annata Vittorio Pozzo, il commissario
tecnico più vincente di sempre, convocò ben 6 giocatori genoani in nazionale.
Da ricordare la grande prestazione di De Prà che contro le “Furie Rosse” spagnole a Milano riuscì a mantenere la sua porta
inviolata. Alla fine del match accadde un bel episodio di sportività e amicizia
tra il grande portiere Zamora che abbracciò il portiere azzurro che a sua volta
regalò al portiere iberico una medaglia d’oro di riconoscimento da parte di
tutti gli sportivi italiani. I giocatori
genoani degli anni ’20 scrissero non solo la storia del Genoa ma anche i primi
anni della nostra nazionale totalizzando circa 110 presenze in maglia azzurra.
(Il Genoa dell'ultimo scudetto)
Grande novità della stagione
successiva fu l’introduzione dello “scudetto
tricolore” che da allora
contraddistinse la squadra vincitrice del campionato precedente. La stagione
1924-25 cominciò bene e trascorse piuttosto velocemente per i rossoblu che si
ritrovarono ben presto in finale ancora contro il Bologna. La finale di
campionato fu giocata prima a Bologna dove il Grifone si impose per ben 2-0 ma
nel ritorno i bolognesi non demorsero e strapparono un’importantissima
vittoria, complice la superficialità del gioco genoano. Dunque si decise di organizzare
un terzo incontro, questa volta sul campo neutro del Milan. La finale si disputò
il 7 giugno 1925 in un clima infuocato: per la partitissima erano arrivati
tantissimi tifosi sia da Genova sia da Bologna, oltre ad un buon numero di
milanesi che accorsero per vedere il “big match”. Data la ridotta capienza
dello stadio i tifosi del Bologna furono fatti accomodare tutt’intorno al rettangolo
di gioco ma l’arbitro Mauro fischiò ugualmente l’inizio della gara, temendo
però un coinvolgimento troppo diretto da parte dei tifosi eccessivamente vicini
al terreno di gioco. I timori del direttore di gara erano fondati, infatti al
16’ minuto del secondo tempo De Prà parò un tiro fortissimo di Muzzioli deviando
il pallone in calcio d’angolo ma i tifosi bolognesi non d’accordo con la
decisone arbitrale scesero in campo a fianco dei propri giocatori per reclamare
la “rete”, convinti che il pallone avesse supero la “riga” di porta prima di essere deviata in corner. L’arbitro
resistette per circa 13 minuti ma poi, visto che non riusciva a ristabilire l’ordine
e non arrivava nessun agente, decise di assegnare la rete al Bologna che
accorciò le distanze, ora il risultato era sul 2-1. Pochi minuti dopo in un
atmosfera incandescente i rossoblu del Bologna pareggiarono grazie ad una vistosa
trattenuta di Pozzi su De Prà che non riuscì ad opporsi al tiro di Schiavio. Dopo
90 minuti la partita si era conclusa sul risultato di 2-2 ma i supplementari
non si giocarono, l’arbitro Mauro considerava chiusa la partita sul 2-0 al
momento dell’invasione di campo. Evidentemente però le sue volontà non furono
sufficienti perché Leandro Arpinati, presidente della Federcalcio e podestà fascista di Bologna, di indubbia
fede bolognese minacciò il direttore di gara e lo costrinse a falsificare il
referto della partita ammettendo la “presenza
di alcuni estranei sul terreno di gioco” e non un’invasione di campo da parte di
tifosi bolognesi. In questo modo Arpinati riuscì a far rigiocare la partita che
infatti fu rigiocata il 5 luglio a Torino, ma anche stavolta le due compagini
non riuscirono a superarsi e la partita finì 1-1. A seguito di quest’altro
pareggio la Federazione decise di far disputare un’ ultima partita, nella speranza
di ottenere un vincitore, di nuovo a Torino. Dopo varie discussioni si decise di
giocare la finale in autunno, di conseguenza la dirigenza del Genoa diede “via
libera” a propri giocatori che andarono finalmente in vacanza. Improvvisamente il
Genoa ricevette un chiaro ordine da Roma: la finale si sarebbe disputata il 18
agosto a porte chiuse allo stadio Vigentino nella periferia milanese. Se il
Genoa si fosse nuovamente rifiutato di giocare la pena sarebbe stata la
radiazione e quindi la dirigenza fu costretta a richiamare i suoi giocatori già
da tempo in ferie. Il Bologna che invece era stato avvertito per tempo aveva
continuato gli allenamenti e arrivò decisamente più preparato alla partita. Dopo
90 minuti a rincorrere una rete di Pozzi segnata al 27’ del primo tempo,
complice la sfortuna, i ragazzi di Garbutt furono beffati a 5 minuti dalla fine
e la partita termino sul risultato di 2-0, il Bologna FC divenne campione d’Italia
per la prima volta.
(Il Bologna campione d'Italia '24-25)
Dopo lo scandaloso “scippo” dello
scudetto da parte del Bologna, il Genoa si ridimensionò notevolmente. Andarono
via giocatori molto importanti che avevano terminato la loro gloriosa carriera
come De Vecchi e Santamaria, ma arrivò uno dei giocatori più forti nella storia
del “Vecchio Cricket”, si tratta di Felice Levratto. Vincitore della prima
edizione della Coppa Italia con la squadra del Vado, quest’ala aveva
caratteristiche davvero incredibili: grande forza fisica, scatto fulmineo e un
tiro implacabile. In effetti Levratto era proprio famoso in quegli anni per la
sua potenza di tiro micidiale che addirittura in certe occasioni aveva
tramortito qualche portiere avversario. Ci
furono importanti cambiamenti anche nella dirigenza del club, il presidente
Guido Sanguineti aveva dato le dimissione per seguire le sue industrie in
Sudamerica.
(Felice Levratto in maglia azzurra)
“Calcio in camicia nera”:
Nel 1926 il calcio italiano
cominciò finalmente ad uscire dall’immobilismo del mondo dilettantistico per
proiettarsi nel professionismo grazie all’introduzione dei contratti ufficiali
tra le società e i calciatori, solo De Prà rinunciò a firmare un contratto
ufficiale in quanto voleva rimanere
dilettante fino alla fine. Inoltre il ’26 fu un anno cruciale poiché il
fasciamo si intromise a tutti gli effetti nel mondo del calcio e dello sport. Il
regime di Mussolini capì fin da subito che lo sport e le sue modalità di
aggregazione erano una preziosissima opportunità per diffondere il credo della
nascente rivoluzione fascista e dal ’38 degli ideali della razza, in un
discorso del 1938 Leandro Arpinati sentenziò: “non
c'era niente di più utile dello sport per migliorare la razza a livello fisico,
in quanto fornisce disciplina, modella i muscoli e plasma il carattere”.
Il football o meglio
giuoco del calcio (come prediligeva il regime) fu immediatamente inquadrato
come lo sport più prorompente degli altri in grado di essere seguito e praticato
da tutte le classi sociali. Per questi motivi il regime cominciò ad investire
tempo e denaro finanziando strutture polisportive come lo stadio del Bologna
Calcio, il Littoriale. Come riportato dal sito del Bologna FC 1909 “era un
impianto polisportivo, secondo l’indirizzo fascista, in cui il campo da calcio
era circondato da una pista podistica a sei corsie e lo stadio stesso era
attorniato da due piscine e quattro campi da tennis, configurandosi così come
una vera e propria cittadella sportiva. Inoltre, costruito alla periferia della
città, presentava uno stile architettonico lontano dall’eccessiva monumentalità
dell’architettura fascista, seppure ispirato alla Roma imperiale.” . Come si può intuire tra fascismo e Bologna Calcio ci
fu sempre uno stretto legame e collaborazione grazie al sopracitato Leandro
Arpinati gerarca fascista ed esponente politico del GUF del capoluogo emiliano. In effetti il Bologna durante il Ventennio
vinse ben 5 titoli nazionali, ricorrendo a volte a favoritismi arbitrali e
politici, come visto nella conquista dello scudetto 1924-1925. Il calcio era al
centro delle attenzioni del partito e infatti da Roma fu inviato un dictat ad
Arpinati che fu prontamente incaricato di riformare il campionato italiano: nel
1926-27 la FIGC decise di abolire le due Leghe Nord e Sud a favore di due
grandi gironi nazionali e di un girone finale a 6 squadre. Inoltre nel ’28-29 aumentarono ulteriormente
le partecipanti al campionato , 16 per ogni girone le cui vincitrici si
sarebbero affrontate in due successive finali.
Successivamente nel 1930 nascerà ufficialmente la Serie A ossia il primo
campionato a girone unico, tutto questo processo di eliminazione di gironi
regionali e annullamento di qualsiasi forma di campanilismo era votato a favore
di un idea sempre più unitaria della nazione seguendo l’ideologia nazionalista,
che intravedeva nelle rivalità cittadine solo un impedimento al raggiungimento
di una coscienza nazionale forte e consapevole. Da questa idea derivò anche l’approccio
militarista che il fascismo impose alle competizioni sportive e alla stessa
nazionale di calcio che doveva sentire il peso e l’onore della nazione su di sé
nell’ambito delle competizioni internazionali, terreno di “guerra” contro le
altre nazioni dove, secondo il regime, bisognava dimostrare la propria
superiorità atletica. Conseguentemente Mussolini stesso propose sempre più
retoricamente il “culto della VITTORIA”, la vittoria militare e sportiva doveva
dimostrare e testimoniare alle altre nazioni del mondo la potenza del fascismo
e la grandezza dell’Italia.
(La nazionale mostra il "saluto romano")
In questo
scenario il regime attuò anche un processo di “italianizzazione” della società
che doveva guardare con diffidenza e sospetto a tutto ciò che non era di
origine italiana, in primo luogo a livello linguistico. Infatti al Genoa
e a tutte le squadre italiane fu ordinato di cambiare il proprio logo e di
inserirvi il fascio littorio e come se non bastasse tutti i nomi delle squadre
che rimandavano ad abbreviazioni e nomi inglesi dovevano tutte essere
sostituite dalle corrispondenti parole in lingua italiana ad esempio: il Genoa Cricket and Football Club diventò
Genova 1893 Circolo del Calcio, l’Internazionale si trasformò in Ambrosiana Inter
e il Milan in Milano. Conseguentemente a questi fatti anche William Garbutt,
storico “mister” del Genoa, a causa delle sue origini britanniche fu pressato
da molti dirigenti del club affinchè rassegnasse le sue dimissioni. Il Fascismo
ormai aveva reso completamente autarchico e fascista anche il calcio e lo
sport. Infine nel 1929 il fascismo cittadino si intromise anche nella gestione
del Genoa, precisamente il 19 febbraio 1929 Giorgio Molfino, segretario del
GUF, venne ammesso nel consiglio societario.
I Gruppi Universitari Fascisti nacquero
nel 1920 ed erano una delle tante organizzazioni giovanili volute dal Duce per
educare i giovani italiani alla cura del corpo, non a caso per Mussolini “non basta avere il cervello calcolatore e la mente che
ragiona: occorrono anche muscoli saldi e garretti di acciaio”. A questa organizzazione potevano
accedere i ragazzi compresi fra i 18 e i 25 anni di età i quali dal 1932
potevano partecipare ai Littorali dello sport, che erano divisi in varie fasi:
prima questi ragazzi doveva sottoporsi ad una selezione provinciale dalla quale
sarebbero emersi coloro che sarebbero passati ai Littorali nazionali. I giovani
atleti prima di intraprendere questa competizione dovevano sottoporsi ad un
giuramento: “Combatterò per superare
tutte le prove per conquistare tutti i primati con il vigore sui campi agonali
[…], combatterò per vincere nel nome d'Italia. Così combatterò come il Duce
comanda. Lo giuro!” . I vincitori di questa manifestazione sportiva
venivano premiati con il titolo di “Littorale d’Italia” e un distintivo
in oro raffigurante la “M” di Mussolini.
(Tessera del GUF di un giovane atleta)
I mondiali del 1934, ospitati proprio in Italia nei quali
prevalse proprio la formazione azzurra guidata Vittorio Pozzo, furono l’occasione
per sfoggiare la bellezza, la perfezione e l’atleticità dell’Italia fascista. Il
regime per l’occasione predispose la
costruzione di stadi imponenti dalla grandissima portata in onore al partito e
alla stessa figura di Benito Mussolini, molti stadi, poi riutilizzati nel
dopoguerra e sopravvissuti anche oggi, portavano i seguenti nomi: a Bologna si
poteva vedere lo “stadio Littoriale”, a Roma lo “stadio nazionale del PNF”, a
Trieste lo “stadio Littorio” mentre a Torino lo “stadio Benito Mussolini. Queste strutture per la loro imponenza
dovevano impressionare i tifosi e gli atleti delle squadre avversarie partecipanti all'allora “Coppa Rimet”.
(Immagine propagandistica del mondiale '34)
Nel ’29 il grifone partecipò per la
prima volta ad una competizione europea, la “Coppa Europa” antenata della coppa
UEFA e dell’odierna Europa League. Per qualificarsi al torneo i rossoblu
dovettero affrontare i rossoneri del Milan in due spareggi terminati
rispettivamente 2-2 a Milano e 1-1 a Genova. A seguito di questi due pareggi ci
si affidò al sorteggio che sorrise ai genoani, ma una brutta notizia colpì i
genovesi durante gli spareggi di qualificazione: si infortunò gravemente Catto,
pedina fondamentale per il Genoa di allora, la sua assenza sarà determinante
durante il cammino europeo. Iniziata la manifestazione l’Italia vantava ben due
compagini, la Juventus e il Genoa. Il cammino rossoblu si fermerà molto presto,
al primo turno, a causa dell’eliminazione da parte del Rapid Vienna. La squadra
austriaca in quell’anno si era laureata campione d’Austria per la nona volta ed
esprimeva il miglior calcio danubiano, che all’epoca era visto come il migliore
d’Europa. Alla fine il Rapid lo vincerà il trofeo e rifilerà un risultato umiliante alla formazione italiana nel ritorno di Vienna, 6-1 il risultato finale.
(La Coppa Mitropa o Coppa Europa)
Il tramonto del grande Genoa:
Nella stagione successiva la
federazione, come detto in precedenza, istituì la Serie A cioè un campionato a
girone unico nel quale il Genoa riuscirà a piazzarsi secondo dietro
all’Ambrosiana-Inter. La compagine genovese non riuscirà mai ad acciuffare i
neroazzurri, non a caso nello scontro
diretto a Milano la partita si concluderà 3-3 tra occasioni sprecate e il
crollo di una tribuna che coinvolse più di 150 persone tra cui 2 genovesi. Con
il chiudersi della stagione 1929-30 il Genoa cessò di ricoprire la posizione
centrale e blasonata che sin qui aveva gloriosamente occupato, fu l’ultimo anno
in cui si ritrovò in “corsa-scudetto” fino all’ultima giornata. Durante la
stagione nel frattempo se ne era andato De Vecchi e sulla panchina rossoblu
subentrò un uomo eccentrico quanto il suo nome, un certo Geyza Czecagny. Di
origine magiara, grande motivatore dagli atteggiamenti insoliti: dirigeva la
squadra dalla tribuna ed era solito unire lo spogliatoi intonando cori
ungheresi che dovevano essere eseguiti da tutti i giocatori della squadra.
Venne assunto ufficialmente solo nel luglio del 1930 mentre Luigi burlando
divenne il nuovo responsabile del settore giovanile. Iniziò ad aleggiare lo
spettro di una bruttissima crisi in casa Genoa che di lì a poco diventerà realtà.
Il 1932 è a tutti gli effetti l’inizio del calvario che in poco più di due
stagioni porteranno il club più blasonato d’Italia in Serie B. La stagione ’31-32 il Genoa finì la stagione
all’undicesimo posto e quella successiva si piazzò ottavo in coabitazione con
la Triestina. Infine lo spettro della retrocessione si concretizzò solo un anno
più tardi; nonostante le belle vittorie contro Ambrosiana, Juve e Bologna molte
di più furono le sconfitte che condannarono il Grifone alle posizioni più basse
della classifica. Il colpo di grazia fu dato dalle dimissioni del presidente
Ardissone, che qualche tempo prima aveva sostituito Sanguineti, e l’arrivo di
Alessandro Tarabini (nominato commissario straordinario da Giorgio Molfino) che
gestiva la squadra come un manipolo di soldati minacciando i giocatori con
multe o addirittura con il confino se non avessero assolto il loro dovere in
modo ligio e corretto. Inoltre fu venduto anche Levratto all'ambrosiana-Inter e la retrocessione fu inevitabile: il Genoa si piazzò al penultimo posto e irreparabilmente per la prima volta nella sua storia venne retrocesso in Serie B.